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La vita a Roma
A Roma fin verso la fine del IV secolo a. C. il giorno era diviso in due parti dal mezzogiorno, indicato dal passaggio del sole al meridiano della città: ma soltanto nel 164 a. C. fu posto nel Comizio un quadrante solare calcolato sulla latitudine di Roma. Seguì il primo orologio ad acqua (derivato dall'antica clepsidra). A partire dalle guerre puniche i Romani cominciarono a dividere il giorno effettivo in dodici ore, ma conservarono l'antica usanza agricola di fissare l'inizio della numerazione al sorgere del sole e la fine al suo tramonto, dividendo lo spazio in dodici sezioni. Naturalmente con questo metodo le 12 ore della giornata avevano durata diversa secondo le stagioni,. 45 minuti circa nell'inverno, 75 circa in estate. Comunque le ore si succedevano in ordine dalla hora prima alla hora duodecima; al mezzogiorno si arrivava con la fine della hora sexta.
La vita del cittadino romano cominciava col levar del sole. Gli artigiani iniziavano la loro attività, i cittadini padroni ricevevano il saluto degli amici e dei clienti, i più poveri andavano a elemosinare aiuti. Un'occupazione importante degli eleganti romani era la toeletta, cui attendevano il barbiere (tonsor) e il parrucchiere le botteghe dei barbieri erano il luogo di convegno dei curiosi e degli oziosi; vi si leggevano gli Acta Diurna, in cui erano riportati i decreti del Senato, le questioni forensi, gli intrighi e le dicerie.
Importante tra le occupazioni della giornata era anche il bagno caldo quotidiano, sollievo fisico a tutti concesso. I ricchi lo facevano nelle loro case, gli schiavi e il proletariato dei clienti usufruivano delle terme popolari sovvenzionate dallo Stato, che offrivano ingresso gratuito, terme di Nerone e di Tito, di Traiano, di Caracalla, di Diocleziano, ecc. Numerose erano però anche le grandi terme di lusso dove i ricchi si recavano accomnati da una turba di servi addetti ai vari servizi. Tali momenti costituivano il centro della vita mondana della seconda parte del pomeriggio
Altri luoghi importanti di incontro e di lavoro erano i Fori, dove si discutevano le cause. Nel II secolo dell'Impero queste si discutevano nel Foro, nei tribunali dei due pretori, nella Basilica Giulia. nei Fori di Cesare e di Augusto, al Castro Pretorio, nella Curia sul Palatino dove l'Imperatore riceveva gli appelli, ecc.
Per i letterati esistevano biblioteche e librerie nelle quali spesso si tenevano letture pubbliche mentre nei palazzi degli abbienti alle letture era riservata una stanza apposita l'auditorium.
Non mancavano per compenso ben altri divertimenti che avevano origini remote: i Ludi, un tempo manifestazioni di carattere religioso che in seguito si erano trasformate in spettacoli prevalentemente agonistici o teatrali, ai quali assistevano folle di centinaia di migliaia di spettatori. Col tempo i Ludi crebbero di numero e di durata e i giorni di feriae (modulo relativo alle festività), ossia di festa, erano nell'età imperiale ben 182; ed era questa una cifra minima, sempre superata nelle annate comuni dalle feste inserite improvvisamente dagli imperatori, da trionfi decretati dal Senato, dalle gare prolungate e dai combattimenti gladiatori.
La famiglia costituì il nucleo della società e dello Stato romano, che condannavano il celibato e miravano alla indissolubilità del vincolo matrimoniale. La donna, vincolata alla piena potestà del padre, passava col matrimonio sotto la potestà del marito; ma la matrona era veramente la signora di tutta la casa, libera di uscire, di partecipare alla vita del marito, da tutti rispettata.
La forma più completa del matrimonio era quella detta per confarreationem, dal panis farreus, un pane preparato con l'antico cereale, il farro, che veniva mangiato dagli sposi, appena entrati nella nuova casa.
Accanto a questo rito del matrimonio, sempre seguito dal patriziato, si avevano altre due forme meno solenni: la coemptio, una vendita simbolica con la quale il padre cedeva la lia allo sposo mediante un compenso pecuniario, e l'usus, una specie di sanatoria di una condizione di fatto, per cui diventava moglie la donna che avesse abitato con un uomo per un anno intero senza interruzione di tre notti consecutive. Con questi due ultimi modi si raggiungevano le iustae nuptiae, dando al marito quel diritto di protezione e di tutela, ma non di padronanza assoluta, che si diceva manus.
Già nel secondo secolo dell'Impero l'antico diritto gentilizio era caduto in disuso e le condizioni di vita della famiglia romana, col potere assoluto del pater familias, erano mutate. Il diritto paterno di vita e di morte sui li, sancito dalle Dodici Tavole, era decaduto; il diritto pretorio aveva attribuito alla donna rispetto ai suoi li diritti uguali a quelli del padre.
All' interno della famiglia Romana spiccava una ura su tutti. Era il 'pater familias' ed aveva poteri di vita e di morte sui li e sulla moglie.
Solo nel II secolo a.c. il suo potere fu limitato. Gli fu proibito di mettere a morte i li legittimi. La situazione gradualmente migliorò a tal punto che verso la fine del periodo repubblicano la donna godeva di numerosi diritti. Poteva partecipare a spettacoli pubblici, poteva amministrare i propri beni tramite un tutore e poteva comandare gli schiavi. Va però sottolineato che questi benefici venivano goduti solo dalle donne ricche.
A Roma, l'incendio ed i crolli erano una vera e propria
consuetudine.
Piu' che il fuoco sacro custodito nel Tempio di
Vesta, in città erano tristemente conosciute le fiamme dei roghi che
divoravano le case e la vegetazione.
Non mancavano, infatti, i materiali che innescavano ed
alimentavano gli incendi: il legno era ampiamente impiegato nei pavimenti, nei
solai e nelle coperture degli edifici, mentre, nelle case, ardevano i camini a
legna.
Le fiamme, inoltre, ardevano costantemente nelle cucine e le torce illuminavano
le strade.
A tale situazione si aggiungeva la costante mancanza di acqua, nonostante la presenza in città di diversi e maestosi acquedotti, che ve ne adducevano grandi quantità.
Non esistevano, infatti, colonne montanti di acqua che la portassero oltre il piano terreno dei grandi fabbricati (insulae), costituiti da tre a quattro o cinque piani e, di conseguenza, quando un incendio scoppiava a quei livelli era molto difficile che pochi orci o catini potessero bastare a domarlo
Tra questi grandi roghi, che culmineranno nel famoso e catastrofico incendio sviluppatosi nell'anno 64 d.C. sotto l'imperatore Nerone (54-68 d.C.) e nell'altro, non meno distruttivo, avutosi durante il principato di Commodo (182-l95 d.C.) la vita a Roma era un fiammeggiare quotidiano di roghi minori.
Fin dai tempi più remoti dell'epoca repubblicana, per salvaguardare le città dai pericoli e dalle conseguenze degli incendi erano designati alcuni 'triumviri' che, dal fatto di espletare l'incarico anche di notte, vennero chiamati 'triumviri notturni'.
Per disporre di uomini pronti al soccorso, in caso di incendio, fin da quei tempi si era distribuita, come riferisce il giureconsulto Paolo Diacono, una comnia di servi pubblici alle porte ed alle mura della città, affinché all'occorrenza potesse prontamente accorrere sul luogo del sinistro.
A tale comnia, opportunamente dislocata nel territorio, si aggiungeva poi l'iniziativa privata, che poteva organizzare comnie di servi.
Avveniva, inoltre, che i cittadini facoltosi, celebrando qualche festa nei loro sontuosi palazzi, non solo avessero cura di tener pronti grandi recipienti pieni d'acqua per qualunque bisogno ma, come racconta Giovenale, disponessero anche di far vegliare l'edificio tutta la notte da parte di comnie di servi forniti delle attrezzature necessarie per spegnere eventuali incendi.
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