Le guerre
antiche erano scaramucce a distanza [recensione di un libro di Philip Sabin] Secondo lo storico inglese Sabin le guerre antiche erano solo scaramucce a
distanza. Con massacro finale Se avete in mente le antiche battaglie come ce le ha raccontate il cinema,
scordatevele. Non è vero che gli eserciti si affrontavano a viso aperto,
con migliaia di soldati pronti a dare la vita in scontri all'arma bianca per
un'eroica vittoria in nome del re, dell'imperatore, della patria. Piuttosto, le
prime linee si fronteggiavano per lunghe ore, a debita distanza, insultandosi,
minacciandosi e scagliandosi lance, per mettersi paura a vicenda. Poi, quando
finalmente uno dei due eserciti aveva raggiunto una fifa blu, girava sui tacchi
e scappava. Al vincitore, così, non restava che l'inseguimento e il
massacro. E' la tesi, innovativa e ragionevole, di Philip Sabin, del dipartimento di
studi di guerra del King's College di Londra, il quale l'ha esposta sul
"Bulletin of the Institute of Classical Studies". Sono passati così
tanti anni da quelle battaglie corpo a corpo, che ormai ci siamo lasciati
convincere che si svolgessero "in stile Hollywood", spiega Sabin. Se si
prendono film come "Spartacus", per esempio, "si vedono truppe come teplie
che s'avventano urlando l'una contro l'altra e ingaggiano duelli con la spada".
Dall'altro lato, finora, vigeva la tesi dei circoli accademici, secondo cui gli
eserciti s'affrontavano come squadre di rugby: "Una gran mischia, coi
battaglioni che si schieravano con gli scudi uno contro l'altro, e cominciavano
a spingere". Ma anche questa tesi, benché più realistica, non convince
Sabin, perché tali mischie non sarebbero potute durare più che qualche
minuto, mentre sappiamo che gli scontri duravano a lungo. Nelle battaglie della
seconda guerra punica, in cui Annibale trionfò sui romani a Canne nel
216 avanti Cristo, gli eserciti si affrontarono per molte ore, o per un giorno
intero. E certo non restavano sotto il sole a spingere gli scudi. Secondo Sabin
all'inizio gli eserciti si stuzzicavano in scaramucce della fanteria leggera e
della cavalleria, poi una parte schierava la sua linea di battaglia principale
e l'altra parte contrapponeva la propria. Ma non era ancora la battaglia:
"Decisivo era il confronto faccia a faccia, a pochi metri di distanza. Stavano
lì, urlandosi insulti e minacce. Poi, sporadicamente, qualche gruppetto
di soldati avanzava e ingaggiava il corpo a corpo. Finché, finalmente, una
delle due parti si faceva prendere dal panico. I soldati voltavano le spalle e
cominciavano a scappare: una scelta suicida". Secondo il ricercatore, la battaglia di Canne è quella che meglio
avvalora tale tesi: infatti la cavalleria gallica e snola che combatteva con
Annibale deve avere speso un certo tempo per battere la cavalleria romana,
metterla in fuga dietro la fanteria e tornare al sicuro. Altrimenti, non si
spiega come un combattimento corpo a corpo possa essere durato molte ore:
"è quasi impossibile immaginare le opposte prime file che si combattono
a breve distanza per molto più di un'ora senza un'enorme quantità
di morti e feriti, in entrambi gli eserciti". Eppure il massacro, alla fine,
avveniva lo stesso. Intimorito dagli insulti e dalle minacce, indebolito dagli
assalti dell'opposta cavalleria, uno dei due eserciti cominciava a sgretolarsi:
prima scappavano i soldati delle ultime file, poi quelli in prima linea. E
quando tutto un esercito volgeva le spalle al nemico, non aveva più
speranze. La sconfitta, così, diventava un "si salvi chi può". [Alessio Altichieri, La battaglia di Canne? Fu combattuta a colpi di
insulti, in: Il Corriere della Sera 11 agosto 1998]