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Nel xx secolo la donna ha gradatamente conquistato una posizione di parità nei confronti dell'uomo.quando è cominciato tale processo,che nel Novecento è giunto a compimento?
Le origini del femminismo
Il movimento per i diritti delle donne, detto anche movimento femminista, si affermò per la prima volta in Europa nel tardo XVIII secolo, e dopo importanti conquiste ottenute a cavallo del XIX e del XX secolo passò momenti di difficoltà fino a rifiorire durante gli anni Sessanta del Novecento. Si sostenne, allora, che la subordinazione delle singole donne era espressione diretta di una generale oppressione politica contro il genere femminile. Le tre direzioni di riflessione e di impegno del femminismo sono state: la ricerca della solidarietà e la presa di coscienza dell'identità di genere, al fine di consolidare le posizioni politiche e sociali delle donne; le camne di sensibilizzazione a favore dell'aborto, dell'eguaglianza di trattamento economico, dell'eguale responsabilità nella cura dei li e contro la violenza domestica; il fiorire delle discipline accademiche che si raccolsero intorno all'area dei cosiddetti women's studies ("studi delle donne o di genere") e che fornirono argomenti teorici e dati empirici a sostegno delle tesi del movimento.
Lo status femminile nelle società tradizionali
Alcuni studiosi sostengono che la scoperta in Europa e nel vicino Oriente di statue di pietra risalenti al Paleolitico rafuranti divinità femminili potrebbe significare che le società primitive fossero basate sul matriarcato; tutte le società fiorite all'epoca delle prime fonti scritte furono però patriarcali. La credenza secondo cui le donne erano naturalmente più deboli e inferiori agli uomini fu rafforzata dalle religioni. Nella Bibbia, ad esempio, Dio pone Eva sotto l'autorità di Adamo e san Paolo esorta le donne a obbedire ai propri mariti; anche nella tradizione induista si considera virtuosa la donna che venera il proprio marito (dall'indiano, pathivratha).
In quasi tutte le società tradizionali le donne furono tuttavia discriminate; la loro istruzione fu limitata all'apprendimento di abilità domestiche, non ebbero accesso a nessuna posizione di potere. Il matrimonio fu quasi sempre considerato un mezzo necessario per garantire alla donna sostegno e protezione. Una donna sposata solitamente assumeva lo status del marito e andava a vivere con la famiglia di lui: in caso di maltrattamenti o di mancato mantenimento aveva scarse possibilità di rivalersi. Nel diritto romano, che influenzò il successivo diritto occidentale, marito e moglie erano ad esempio considerati un'unità, nel senso che la moglie era un vero e proprio "possesso del marito"; in quanto tale, la donna non godeva del controllo giuridico né della sua persona, né dei suoi li, né delle sue terre, né dei suoi soldi. Anche durante il Medioevo, il diritto feudale prevedeva che la terra si tramandasse per discendenza maschile. Le eccezioni dell'antica Babilonia e dell'antico Egitto, dove le donne godettero dei diritti di proprietà, e a Sparta amministravano di fatto l'economia, furono dunque fenomeni isolati; solo durante il Medioevo in alcuni paesi europei le donne poterono entrare a far parte delle corporazioni delle arti e dei mestieri. In alcuni rarissimi casi le donne godettero dell'autorità religiosa, come nel caso delle sciamane siberiane e delle sacerdotesse romane.
Primi mutamenti a favore delle donne
L'Illuminismo e la rivoluzione industriale contribuirono a creare in Europa un clima favorevole allo sviluppo del femminismo, sull'onda dell'influenza dei movimenti riformatori a cavallo fra XVIII e XIX secolo. In Francia, durante la Rivoluzione francese, le associazioni repubblicane delle donne invocarono l'estensione universale dei diritti di libertà, eguaglianza e fraternità senza preclusioni di sesso. In quegli anni Mary Wollstonecraft scrisse in Gran Bretagna la prima opera femminista, intitolata Rivendicazione dei diritti delle donne (1792), in cui denunciò la forte discriminazione della società di quel tempo, richiedendo l'eguaglianza fra i generi. Durante la rivoluzione industriale il passaggio dal lavoro artigianale (che le donne avevano svolto tradizionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione di massa fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come salariate. Ciò rappresentò, pur tra grandi contraddizioni sociali, il primo passo verso l'indipendenza, sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a quelli degli uomini, fossero amministrati dai mariti. Nello stesso periodo, le donne di classe media e alta furono invece relegate al ruolo di "angeli del focolare". Mentre nei paesi di religione cattolica la Chiesa si oppose duramente al femminismo, in quanto riteneva che distruggesse la famiglia patriarcale, nei paesi di religione protestante (come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America) il movimento femminista ebbe maggiore successo. Alla sua guida si posero donne istruite e riformiste, che provenivano dalla classe media. Nel 1848 più di cento persone tennero a New York la prima assemblea sui diritti delle donne. Sostenute dall'abolizionista Lucrezia Mott, che si opponeva alla schiavitù, e dalla femminista Elizabeth Cady Stanton, le donne chiesero eguali diritti e, in particolare, il diritto di voto e la fine della disparità di trattamento. Le femministe inglesi invece si riunirono per la prima volta nel 1855 per ottenere pari diritti di proprietà. In Gran Bretagna, inoltre, la pubblicazione dell'opera Schiavitù delle donne, del filosofo John Stuart Mill, influenzata probabilmente dalle conversazioni con la moglie Harriet Tayllor Mill, richiamò l'attenzione sulla questione femminile e portò alla concessione nel 1870, sempre in Gran Bretagna, dei diritti di proprietà alle donne sposate. In seguito furono introdotte le leggi sul divorzio, sul mantenimento e sul sostegno nella cura dei li e la legislazione del lavoro introdusse i minimi salariali (cioè il salario minimo che doveva essere ato per un certo lavoro) e i limiti relativi all'orario di lavoro.
Un ruolo determinante nell'affermazione dell'eguaglianza di genere ebbe il movimento delle suffragette, che fiorì dal 1860 al 1930, riunendo donne di diversa classe sociale e di diversa istruzione attorno al comune obiettivo del diritto di voto. Nonostante le mobilitazioni di massa, talvolta violente, la richiesta del diritto di voto, divenuto ormai irrinunciabile per le femministe britanniche e statunitensi, incontrò durissime resistenze. Fu la Nuova Zelanda il primo paese a estendere il diritto di voto alle donne nel 1893. In altre nazioni del mondo ciò avvenne soltanto dopo la prima guerra mondiale, anche come concreto segno di riconoscimento del contributo dato dalle donne durante la guerra sia come lavoratrici sia come volontarie. In Italia le donne iniziarono a votare soltanto nel 1945. In Svizzera invece le donne furono escluse dal voto federale sino al 1971. Ancora oggi le donne non votano in Kuwait, in Giordania e in Arabia Saudita.
I progressi del XX secolo
In Russia nel 1917 e in Cina nel 1949, dopo le rispettive rivoluzioni (Rivoluzione russa Rivoluzione cinese), i nuovi governi comunisti sostennero l'eguaglianza fra i generi e attuarono una politica decisa a favore del controllo delle nascite, anche al fine di sradicare il modello di famiglia patriarcale. Ciò nonostante, nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche alle donne lavoratrici furono corrisposti sempre e soltanto salari minimi e la loro rappresentanza politica fu molto ridotta; inoltre, le tecniche di controllo delle nascite adottate furono rozze, e prive del necessario supporto di pubbliche strutture, come ad esempio gli asili. In Cina continuarono a verificarsi alcune forme di discriminazione sessuale sul lavoro.
I primi a introdurre ampi programmi per i diritti delle donne, che includessero tra l'altro strutture di assistenza per i bambini, furono negli anni Trenta i governi socialisti della Sa. Durante gli anni Sessanta i mutamenti demografici, economici e sociali portarono in tutto l'Occidente a una nuova ondata di femminismo. La diminuzione del tasso di mortalità infantile, l'aumento generalizzato della speranza di vita e la diffusione della pillola contraccettiva alleviarono il carico di responsabilità e lavoro delle donne relativamente alla cura dei li. Questi mutamenti, combinati da una parte con l'inflazione (che comportò per molte famiglie la necessità del doppio stipendio) e dall'altra con l'aumentato numero di casi di divorzio, indussero un numero crescente di donne a entrare nel mondo del lavoro. Il movimento femminista in quegli anni mise in discussione le istituzioni sociali e i valori dominanti, fondando le proprie critiche su studi che dimostravano l'origine culturale e non biologica delle supposte differenze tra uomo e donna e sottolineando come il linguaggio stesso, in quanto "specchio linguistico" del tradizionale predominio maschile, contribuisse a perpetuare la discriminazione.
In Italia, alla fine degli anni Sessanta, si formarono numerosi gruppi per la difesa dei diritti delle donne sulle orme delle femministe storiche dei primi del Novecento: Anna Kuliscioff, Anna Maria Mozzoni, Carlotta Clerici, Linda Malnati ed Emilia Mariani. Essi si ispiravano a opere come Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir, La mistica femminile (1963) di Betty Friedan e La politica sessuale (1969) di Kate Millet. Negli anni Novanta le femministe hanno rivolto l'attenzione ai fenomeni favorevoli alla discriminazione e contrari al femminismo diffusi in molti paesi. Libri come Il mito della bellezza (1990) di Naomi Wolf e Riflusso (1992) di Susan Faludi hanno analizzato i processi attraverso cui le conquiste dei movimenti femministi vengono progressivamente erose nelle società occidentali, le uniche, o quasi, in cui le donne abbiano peraltro potuto essere parte attiva nel rivendicare i propri diritti.
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