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RIVOLTA SERVILE - Spartaco, La rivolta dei gladiatori, Le prime facili vittorie, Il viaggio verso le Alpi, La sconfitta di Crisso e Enoma, Spartaco in

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RIVOLTA SERVILE

Mentre Roma era impegnata a fronteggiare la ribellione di Quinto Sertorio nelle province snole, un grave pericolo si concretizzò nella penisola italica, un pericolo inizialmente sottovalutato, ma che richiese successivamente un grande sforzo militare per disinnescarlo: la rivolta di un gruppo di gladiatori che si trasformò in una grande guerra al potere di Roma e alle sue ingiustizie sociali.

Una guerra che passerà alla storia con il nome di 'bellum servile'.


Spartaco

A guidare i rivoltosi, uno di loro, un trace di nome Spartaco, che diventò un simbolo immortale delle lotte degli oppressi contro gli oppressori, tanto che ancora nel 1918, in Germania nasceva un movimento socialista il cui nome fu proprio quello di 'movimento spartachista'. 



Spartaco era quindi un gladiatore originario della Tracia, una regione balcanica ta il Mar Nero e il Mar Egeo. Prima di diventare gladiatore era stato un soldato dell'esercito Romano, ma accusato di diserzione era stato ridotto in schiavitù e venduto ad un lanista, un addestratore di gladiatori.


La rivolta dei gladiatori

Nel 73 a.C., Spartaco  si trovava a Capua in una scuola per gladiatori (ludus), di proprietà di un certo Gneo Lentulo Batiato.

Fu proprio da questa scuola che partì la rivolta, originata dalle pessime condizioni di vita a cui erano sottoposti i suoi 200 gladiatori. Su questi gladiatori Spartaco aveva un particolare ascendente, alimentato dalle profezie della sua concubina, una donna iniziata ai riti dionisiaci.

Si erano tutti organizzati per fuggire, ma poi a causa di una delazione 80 di loro furono costretti ad accelerare i tempi; la rivolta scoppiò improvvisa e i gladiatori ebbero ragione dei loro carcerieri pur non disponendo di armi ma solo di strumenti da cucina. Le armi le trovarono all'esterno della scuola, saccheggiando prima un convoglio destinato ad un altra scuola e assalendo successivamente la guarnigione militare di Capua.

Male armati, ma molto determinati i fuggitivi si rifugiarono sulle falde del Vesuvio, dove si riposarono in attesa di decidere una strategia.

A fianco di Spartaco, altri due gladiatori, di origine celtica, spiccavano sul resto del gruppo, tanto da diventare una sorta di luogotenenti del guerriero trace: Crisso ed Enomao.


Le prime facili vittorie

Sottovalutando il pericolo, il propretore Claudio Glabro si recò sul Vesuvio alla guida di 3000 soldati, convinto inizialmente di sistemare la questione senza eccessive difficoltà. Ma una volta arrivato sul posto forse comprese che la situazione era più complicata di quello che aveva immaginato e così si limitò ad assediare i ribelli in attesa di rinforzi. Ma i ribelli trovarono una via per fuggire all'assedio: utilizzando rami di vite costruirono delle scale con cui discesero i ripidi costoni del Vesuvio e, dopo aver girato intorno ai loro assedianti, riuscirono a ribaltare i ruoli, piombando improvvisamente sull'accampamento dei soldati.

La vittoria dei gladiatori fu netta e accese un lume di speranza in tutti gli schiavi e i disperati della zona che continuavano ad ingrossare le fila di questo esercito improvvisato.

La situazione era grave, ma ancora una volta la minaccia venne sottovalutata da chi era incaricato di soffocare la rivolta. Anche il pretore Varinio, affrontò i ribelli con pochi uomini e con una tattica improvvisata. Le sue truppe, divise in due distaccamenti di 2000 uomini ciascuno, furono annientate con facilità dagli uomini di Spartaco. Lo stesso pretore rischiò la vita, ma poi riuscì a sfuggire al nemico per rifugiarsi a Cuma, da dove mandò un messaggio al Senato di Roma, evidenziando la gravità della situazione.

I successi conseguiti da Spartaco, assumevano dei contorni leggendari sugli schiavi e sui disperati che vivevano sia nelle città sia nelle camne, i quali si sentivano attratti da questo vento di libertà e di riscatto. Le fila di questo esercito improvvisato si ingrandivano a dismisura e per Spartaco e i suoi legati le priorità diventavano quelle di sfamare questa moltitudine e di prepararla alle battaglie imminenti.


Il viaggio verso le Alpi

Approfittando dell'effetto sorpresa, Spartaco,  con il suo esercito, abbandonò le falde del Vesuvio per cominciare un percorso con cui intendeva risalire la penisola per poi valicare le Alpi e tornare in quelle terre da cui proveniva. Spartaco sapeva che restando in Italia prima o poi sarebbe stato sconfitto da un esercito romano: l'effetto sorpresa non sarebbe durato a lungo.

Durante il percorso questo esercito irregolare attaccava città come Nola e Nocera, ma nello stesso tempo saccheggiava le camne e le borgate isolate. 

Spartaco non riusciva a controllare tutti gli uomini che si muovevano con lui, alcuni dei quali si erano organizzati in bande dedite alla violenza e al saccheggio; per questo motivo tentava di rendere più veloce il suo progetto di abbandonare la penisola.

In effetti il Senato di Roma si stava organizzando per fare fronte a questa minaccia, conferendo ai consoli dell'anno, Gellio Publicola e Cornelio Lentulo Clodiano, l'incarico di reprimere la rivolta.

I consoli avevano l'occasione per approfittare delle divisioni che si stavano creando tra i rivoltosi: il progetto di Spartaco non era gradito alla componente celtica del suo esercito e ai suoi luogotenenti Crisso e Enomao. Loro preferivano restare nella penisola, continuando a saccheggiare camne e a conquistare città. 

Così Spartaco alla guida di 30.000 uomini si mise in marcia verso le Alpi, mentre Crisso ed Enomao, insieme a 10.000 uomini prevalentemente di origine celtica, puntarono a sud,  verso l'Apulia.


La sconfitta di Crisso e Enoma

Il console Publicola, insieme al pretore Arrio, ebbe vita facile contro il gruppo celtico e in poco tempo li annientarono, uccidendo Enomao in un primo combattimento e Crisso in uno successivo.

A quel punto i due vincitori si mossero in aiuto del console Clodiano  che stava per attaccare Spartaco e i suoi uomini, che intanto erano cresciuti ancora di numero.

L'obiettivo era quello di attaccare i rivoltosi con una mossa a tenaglia, ma il piano fallì e Spartaco riuscì a sbaragliare entrambi gli eserciti Romani per poi riprendere il suo viaggio verso Nord.

La sua marcia sembrava inarrestabile, anche il propretore della Gallia Cisalpina, Cassio Longino, dovette recedere dal proposito di bloccare l'avanzata di Spartaco, dopo aver perso in una prima battaglia ben 10.000 soldati.

Spartaco volle commemorare in modo particolare la morte del suo comno d'avventura Crisso, morto sotto i colpi dell'esercito Romano. Lo fece attuando una vendetta che aveva un significato particolarmente simbolico e cioè costringendo ben 300 prigionieri Romani ad affrontarsi in una grande sfida gladiatoria all'ultimo sangue.


Spartaco inarrestabile

Ora con l'ex-gladiatore erano schierati ben 100.000 uomini, una massa difficile da controllare e da gestire. Il problema del cibo era sempre più evidente e Spartaco che , nonostante le facili vittorie, era sempre più preoccupato della situazione.

Arrivato a Modena, di fronte alle sue mura ben difese e alle sue porte sbarrate, Spartaco, senza una spiegazione evidente,  rinunciò alla sua idea, e decise di tornare verso sud. 

Questo cambio di direzione sconcertò i Romani che temevano un attacco alla città. Temevano sopratutto che i tanti schiavi presenti in città potessero unirsi alla rivolta, creando un pericoloso fronte interno che avrebbe indubbiamente favorito l'attacco dall'esterno, altrimenti impossibile.

Ma Spartaco sapeva bene che la conquista di Roma sarebbe stata un'impresa impossibile e quindi si mantenne lontano dall'Urbe, ridiscendendo la penisola sul versante Adriatico. La sua marcia, anche se in senso inverso, continuava ad essere inarrestabile e ogni tentativo di bloccarla si dimostrava vano. 

I consoli dell'anno (72 a.C.) si dimostrarono inadeguati, subendo ripetute sconfitte,  e così per fronteggiare la situazione di emergenza, Roma ricorse ancora alla soluzione dell'uomo forte, l'uomo a cui veniva concesso un imperium assoluto.

La Repubblica Romana, per salvare se stessa, adottava una soluzione che la spingeva sempre più velocemente verso la sua estinzione. 


Marco Licinio Crasso

Mentre Pompeo esercitava il suo imperium in Sna, al pretore Marco Licinio Crasso veniva concesso il comando assoluto della lotta contro Spartaco; Crasso era un ricco aristocratico che, nella guerra civile, aveva combattuto al fianco di Lucio Cornelio Silla e che ora cercava di cogliere questa occasione per accrescere il suo prestigio personale.

Crasso, nella nuova carica di proconsole, si impegnò nella guerra servile schierando ben 10 legioni, di cui 6 arruolate personalmente da lui.

Ne mandò subito 2 a controllare i movimenti del nemico, ma le stesse, sfidate dall'orda nemica, si smembrarono, evidenziando un'estrema fragilità. Molti dei legionari si diedero alla fuga, provocando la dura reazione di Crasso. Il proconsole volle dare un forte segnale che richiamava i suoi soldati al rispetto di quelle caratteristiche di disciplina e coraggio che da sempre avevano contraddistinto l'esercito Romano. Sottopose così le due legioni, accusate di tradimento, ad un provvedimento punitivo ormai in disuso: la decimazione.  Gli uomini venivano divisi in gruppi di dieci e per ogni gruppo un solo uomo veniva condannato a morte. La selezione veniva effettuata per sorteggio, ma la cosa peggiore era che la condanna doveva essere eseguita dai 9 comni più fortunati. Con la decimazione si punivano duramente le legioni riducendo al minimo i danni: infatti le legioni punite restavano integre e operative perdendo in fondo solo un decimo dei loro effettivi.

Nel frattempo Spartaco, che aveva definitivamente rinunciato ad attaccare Roma, continuava a spingersi a Sud. Non potendo mantenere compatto un gruppo troppo numeroso, divise la sua armata in gruppi più piccoli. Uno di questi, composto da 10.000 uomini, finì sotto le grinfie delle legioni di Crasso e venne annientato.

Spartaco si era spinto fino all'estremità della penisola, a Reggio Calabria, con l'intenzione di imbarcarsi per la Sicilia. Ma i pirati della Cilicia che avrebbero dovuto trasportare lui e i suoi uomini sull'isola vennero meno al loro impegno. 


L'accerchiamento in Calabria

Così Spartaco, si trovò in una situazione molto difficile, chiuso come era in un lembo di terra circondato per tre quarti dal mare. Si rifugiò nelle montagne dell'Aspromonte, impotente di fronte all'opera di accerchiamento che gli uomini di Crasso andavano costituendo. Un accerchiamento sostenuto da un grande sforzo di ingegneria che permise di costruire in poco tempo, una lunga palizzata in legno e un ampio fossato: due opere, lunghe 55 chilometri, che isolavano di fatto la punta, dal resto dello stivale; di fronte a Spartaco e ai suoi uomini la prospettiva di una morte lenta per mancanza di cibo.

I tentativi di fuga risultavano vani, in uno di essi morirono 12.000 uomini, mentre la negoziazione veniva rifiutata in modo deciso da Crasso che ormai sentiva la vittoria imminente.

Ma una notte una parte dei ribelli riuscì ad aprirsi un varco e a fuggire. Crasso per evitare di trovarsi accerchiato dovette abbandonare l'assedio, lasciando a Spartaco e al resto dei rivoltosi la possibilità di abbandonare quella trappola mortale. Spartaco prese la via di Brindisi, dove forse sperava di imbarcarsi per la Tracia. 

Colto dalla disperazione, Crasso chiese aiuto al Senato, il quale richiamò sia le truppe di stanza in Macedonia, agli ordini di Marco Terenzio Varrone Lucullo, sia Pompeo Magno con il suo esercito, che nel frattempo aveva portato a termine vittoriosamente la camna iberica contro l'altro grande ribelle del tempo: Quinto Sertorio.

Crasso si pentì amaramente della sua richiesta di aiuto, che aveva provocato il ritorno in patria di Pompeo. I due uomini si odiavano a vicenda, divisi da una grande rivalità fomentata dalla grande ambizione di potere.

Del resto Crasso, coadiuvato da Lucullo, aveva tutte le risorse necessarie per combattere quello che era in fondo un gruppo di disperati male armati e alla ricerca disperata di cibo.

Il proconsole pensò quindi di rendere più pressante la sua strategia militare e di chiudere il conto con Spartaco prima che Pompeo potesse tornare in patria per prendere parte alla guerra.

La sua tattica fu premiata da alcuni successi importanti, come la vittoria contro un gruppo di celti guidati da Giannico e Casto. In questa battaglia le truppe Romane recuperarono 5 aquile, simbolo della forza delle legioni Romane, ingenerando in questo modo nuovo entusiasmo e vigore tra i legionari che assegnavano grande valore alle loro insegne.


La morte di Spartaco

Spartaco sotto la spinta delle legioni di Crasso e di quelle di Lucullo fu costretto a ripiegare nel Bruzio e dopo, qualche schermaglia con sorti alterne, non poté evitare l'impeto delle legioni Romane. 

In una grande battaglia svoltasi in Lucania, sulle rive del Sele, le legioni Romane riuscirono finalmente ad annientare le orde nemiche. Lo stesso Spartaco, nonostante la sua furia, cadde sotto i colpi del nemico, anche se il suo corpo non fu mai ritrovato, alimentando così ulteriormente la leggenda che aleggiava intorno alla sua ura di grande combattente.

Il suo comportamento coraggioso nella battaglia finale, gli viene riconosciuto da tutti gli storici della Roma Antica, anche quelli che più ostili alla sua ura.

Nella primavera dell'anno 71 a.C., finiva un incubo che aveva sconvolto le notti dei Romani per un anno e mezzo. Questo uomo, che aveva messo sotto scacco per così lungo tempo Roma e il suo esercito, aveva invece rappresentato un dolce sogno di libertà per tutti quegli uomini che vivevano in regime di schiavitù.

Crasso anche in questo caso, come nel caso della decimazione, adottò una punizione esemplare per i prigionieri che erano sopravvissuti alla battaglia decisiva. Ben 6000 croci vennero erette lungo la via Appia, nel tratto che collegava Roma con Capua. 6000 ribelli persero quindi la vita in questo orribile modo, fornendo a detta di Crasso, un valido esempio per tutti gli schiavi che non si erano ribellati, ma che si erano sentiti moralmente vicini all'azione di Spartaco. Un esempio della grande potenza di Roma.


Il colpo decisivo di Pompeo

Crasso era pronto per il trionfo, un trionfo da grande condottiero, ma la sfortuna volle che un gruppo composto da 5000 schiavi, sfuggiti al grande massacro, si scontrasse in Etruria con le le truppe di Pompeo che discendevano la penisola. I 5000 fuggiaschi furono massacrati dalle truppe pompeiane, dando così modo al generale piceno di accaparrarsi una parte dei meriti connessi con la fine della rivolta.

Lo stesso Pompeo, mandando un messaggio al Senato dichiarava: 'Se Crasso ha vinto il male, io ne ho estirpato le radici'.


Due generali alle porte di Roma

Entrambi i generali si mossero quindi verso Roma, senza smobilitare i loro eserciti, richiedendo a gran voce il meritato trionfo e la possibilità di candidarsi al consolato per l'anno successivo. Quest'ultima era una richiesta assolutamente incostituzionale, considerato che nessuno di loro aveva le sectiune in regola per potersi candidare, ma in quegli anni, la costituzione repubblicana era diventata così vulnerabile da non rappresentare più una garanzia contro l'ambizione di alcuni uomini particolarmente potenti.

E così il Senato in difficoltà, con due eserciti minacciosi ancora mobilitati, concesse il trionfo a Pompeo e una semplice ovazione a Crasso e poi diede il benestare alla loro candidatura al consolato.







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