Tacito -
"Potentiae cupido" Leggo in taluni autori che i due eserciti, o tementi la guerra, o
infastiditi da entrambi i principi, dei quali ogni giorno più si
facevano apertamente note le vergognose brutture, si sarebbero chiesti se,
cessando dalle ostilità, non convenisse loro riunirsi per una concorde
decisione, o deferire al Senato la scelta dell'Imperatore. Per ciò
appunto avevo i capi ottoniani insistito a guadagnare tempo: primo fra essi
Paolino, che coltivava speranze per sè. quale anziano dei consolari e
per il nome glorioso di guerriero che s'era conquistato nelle spedizioni di
Britannia. Ma se io posso ben concedere che taluni segretamente auspicassero,
in luogo della discordia la pacificazione, e un pricipe intemerato al posto di
quei due sciaguratissimi, non crederò mai, nè che Paolino, nella
sua grande assennatezza, si ripromettesse da quello masse in una così
corrotta età, tanto buon senso da far sì che quegli stessi che
per amor di guerra avevano turbato la pace, ora per amore di pace desistessero
dalla guerra; nè che due eserciti discordanti per lingua e costumi
potessero stringersi in un tale accordo; nè, infine, che legati e
capitani, consci la maggior parte della sregolatezza della povertà,
della scelleraggine propria, fossero disposti a tollerare altro principe che un
corrotto, debitore a essi di servizi ricevuti. Quell'antica e in ogni tempo
connaturata ali uomini libidine del potere, con l'ingrandirsi dell'Impero si
gonfiò ed esplose. In più racconti confini più facile era
la concordia; ma dopo che, soggiogato il mondo e abbattute le città e le
dinastie rivali ebbero libero volo le aspirazioni a grandezza ormai sicura,
incominciarono a divampare le lotte fra il patriziato e la plebe. Ora
turbolenza di tribuni ora strapotere di consoli; in città, nel foro, i
primi saggi di guerra civile; più tardi Gaio Mario, della più
bassa plebe, e L.Silla, il più sanguinario fra i nobili sovvertirono con
armi la libertà in tirannia. Seguì le loro orme, più
coperto ma non miglior di essi, Gn.Pompo, e dopo d'allora non per altro si
lotto che per il pricipato. Se le legioni di cittadini non abbandonarono il
campo nè a Farsalia, nè a Filippi, tanto meno avrebbero di loro
volontà deposto le armi gli eserciti di Ottone e Vitellio: a lanciarli
l'un contro l'altro agivano pur sempre con la stessa ira divina, quella stessa
rabbia di uomini, quelle stesse scelleratissime cause. Che se ogni volta
codeste guerre finirono stroncate di un colpo lo si dovette solo alla pochezza
dei duci. Ma queste ime riflessioni su vecchie e nuove vicende, troppo mi
dilungano dal segnato cammino: e lo riprendo." (Historiae, II, 37-38)