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VIOLENZA PROLETARIA E CONTRORIVOLUZIONE IMPERIALISTA
In questa fase storica, a questo punto della crisi, la pratica
della violenza rivoluzionaria è l'unica politica che abbia una
possibilità reale di affrontare e risolvere la contraddizione
antagonistica che oppone proletariato metropolitano e borghesia imperialistica.
In questa fase la lotta di classe assume, per iniziativa delle avanguardie
rivoluzionarie, la forma della guerra. Proprio questo impedisce al nemico di
'normalizzare la situazione' e cioè di riportare una vittoria
tattica sul movimento di lotta degli ultimi dieci anni e sui bisogni, le
aspettative e le speranze che esso ha generato.
E' importante ciò che dice Habasch:
' l'incapacità di distruggere la rivoluzione in una determinata
fase è di per sé una vittoria per la rivoluzione. Attraverso questa
verità, la politica della violenza si cristallizza come una tradizione
delle masse, accelera e approfondisce il processo di formazione del partito
si intensifica progressivamente fino a riportare sul nemico una schiacciante
vittoria.'
Certo siamo noi a volere la guerra!
Siamo anche consapevoli del fatto che la pratica della violenza rivoluzionaria
spinge il nemico ad affrontarla, lo costringe a muoversi, a vivere sul terreno
della guerra: anzi ci proponiamo di fare emergere, di stanare la
controrivoluzione imperialista dalle pieghe della società
'democratica' dove in tempi migliori se ne stava comodamente
nascosta!
Ma, detto questo, è necessario far chiarezza su un punto: non siamo noi
a 'creare' la controrivoluzione. Essa è la forma stessa che
assume l'imperialismo nel suo divenire: non è un aspetto ma la sua
sostanza. L'imperialismo è controrivoluzione. Far emergere attraverso la
pratica della guerriglia questa fondamentale verità è il
presupposto necessario della guerra di classe rivoluzionaria nella metropoli.
Fatta questa considerazione si capisce allora perché lo Stato imperialista
impegni tutte le sue forze per negare alla violenza proletaria qualsiasi
valenza politica. Si capisce perché, con metodi diretti o indiretti, esso cerca
di annientare qualsiasi forza che non escluda nel modo più assoluto dai
suoi metodi di lotta il ricorso a forme di violenza rivoluzionaria.
L'ordine sociale che lo Stato imperialista vorrebbe imporre presuppone la
riduzione preventiva e generalizzata degli individui umani a 'cose',
in una società di cose retta in tutte le sue regioni dalle leggi del
mercato capitalistico.
E' l'ordine impossibile della soppressione delle contraddizioni, del puro
svolgersi quantitativo, dell'immutabile, della morte!
Come una bella attrice al volgere dei suoi anni e delle sue fortune, lo Stato
imperialista vorrebbe bloccare il tempo, fermare la storia, ma ciò -
nonostante la sua potenza - non è proprio possibile.
Anzi, ironia della storia, quanto più la legge del capitale si afferma
in tutti gli interstizi della vita sociale e si fa generale, assoluta, tanto
più genera, rendendo intollerabile la 'qualità della
vita', nuovi bisogni di liberazione e più radicali movimenti di
lotta.
Ecco, questa è la contraddizione che sta portando la borghesia
imperialista verso la sconfitta e che ci spiega perché essa non può
ammettere, né tollerare, contraddizioni e comportamenti di classe
antagonistici; perché non può riconoscerli se non come 'devianze
criminaloidi', 'terrorismo', 'insorgenze irrazionali',
per usare una divertente definizione del ministro, 'manifestazioni di
follia ideologizzante'.
In questo quadro la pretesa inaccettabile della borghesia imperialista recita
così l'opposizione al regime per essere 'politica' e con
ciò legittima e tollerata, non deve manifestarsi come antagonismo in
atto. Cioè deve accettare di svolgersi interamente dentro il cerchio
magico tracciato dalle sue leggi, dalle sue convenzioni e dai suoi codici di
comportamento sociale 'normale'. L'alternativa è: crimine!
Ferma questa pretesa, anche il concetto di 'reato politico', mai
negato dalle democrazie liberali, non ha più spazio per resistere.
Diventa una contraddizione in termini: le due parti che compongono il concetto
non sono forse assolutamente incompatibili? Come dire, gli 'atti'
politici, in quanto interni a leggi, patti, convenzioni, codici, non possono
assumere la forma di reati. Se ciò avviene vuol dire che hanno sconfinato,
dunque sono crimini.
E' fin troppo evidente che se questa tesi venisse accettata dalle classi
subalterne ne determinerebbe automaticamente la subordinazione perenne al
dominio della borghesia imperialista. Ma non c'è da spaventarsi perché
in realtà questa tesi-limite non si dà come storicamente
possibile in quanto il modo di produzione capitalistico non potrà mai
impedire lo sviluppo delle forze produttive e quindi l'insorgere delle
contraddizioni che determinano le condizioni dello scontro rivoluzionario.
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