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Alceo
Alceo nacque nel 630 a.C. a Mitilene da una famiglia aristocratica. La sua vita fu segnata dal vivo interesse politico e molte vicende sono legate a Pittaco, uno dei sette sapienti della Grecia. L'uno e l'altro combatterono contro il potere assolutistico e contro gli Ateniesi per il possesso del promontorio Sigeo nell'Ellesponto: in questa battaglia Alceo dovette fuggire, abbandonando lo scudo, e ammettendolo in un frammento che richiama lo stesso gesto del poeta Archiloco. In seguito Alceo e Pittaco complottarono insieme contro il tiranno Mirsilio. Questi scontri lo portarono più volte all'esilio, esperienza dolorosa che ricorre anche in un lungo frammento che si apre con il rimpianto del poeta per il suo allontanamento forzato dalle attività pubbliche che erano il prestigio della sua famiglia. L'ambiente di Alceo è molto meno raffinato in confronto a quello della giovane Saffo, infatti lui apparteneva al mondo rigido e militaresco dell'eteria. La politica costituisce un nucleo fondamentale della poesia alcaica: in un carme il poeta scaglia violente invettive contro Pittaco, accusandolo di aver tradito la solidarietà dei suoi alleati, in quanto la lealtà era il principio fondamentale dell'etica aristocratica. Allorché muore Mirsilo egli prorompe in un esultante invito a bere fino all'ubriachezza: la passione politica viene qui trattata all'interno del contesto conviviale; elemento politico e simposiaco convergono spesso nella sua opera, ma questo non significa che siano sempre legati: non si beve soltanto per parlare di politica: il vino é anche gioia ed esaltazione delle sensazioni corporee; la sua estasi é verità dei pensieri ed é proprio questo dolce unguento che lenisce l'animo e ristora la mente dall'assillante preoccupazione del dolore. Altri temi trattati nelle liriche di Alceo sono l'argomento mitico-religioso (di cui mirabile esempio sono le tre strofe rimasteci dell'inno ai Dioscuri, che descrive la fulminea apparizione dei due gemelli divini durante una notte tempestosa sul mare, identificandoli nei fuochi di s.Elmo che indicano salvezza ai naviganti), e l'argomento epico, presente in vari carmi come quello che ricorda le nozze fra Peleo e Teti, o quello che descrive le sciagure provocate dalla follia amorosa di Elena; l'argomento mitico in qualche caso appare legato all'attualità, in particolare alla lotta contro il potere tirannico: l'attenzione al presente e la passione politica sono tratti peculiari della vita di Alceo che lo portano ad attribuire una funzione pragmatica alla sua poesia. Essa è inscindibile dal contesto e dall'occasione in cui viene cantata. L'eteria a cui il poeta si rivolge infatti corrisponde alla sua attività artistica. La forte aderenza del poeta alla realtà e alla particolarità dell'occasione si riflette anche nel suo stile: esso è caratterizzato dall'alternanza di toni espressivi, ora più raffinati e simili alla prosa, ora più forti e potenti. La lingua eolica di cui si serve per comporre i carmi è arricchita inoltre di parole rare provenienti forse dal parlato, che solo un pubblico maschile aperto alla varietà dei rapporti sociali può comprendere e utilizzare. In conclusione Alceo fu considerato iniziatore di un certo tipo di poesia che troverà poi un degno successore nel poeta latino Orazio.
Maledizione contro Pittaco
Anche definiti come "canti della guerra civile" gli scritti di Alceo scandiscono gli eventi di una vivace attività politica fra le fazioni di Lesbo. Come nella "poesia del biasimo" i nemici sono additati e riflesso di ogni bruttezza, e l'odio che ne scaturisce si rinforza dall'opinione comune. L'ode riportata si riferisce al nemico Pittaco e a lui, che viene nominato solo di sfuggita come lio di Irra sono rivolte tutte le maledizioni e i rancori. Metro: strofe alcaiche.
. Questo sacro recinto,
grande, comune, sul colle assolato,
i Lesbi posero; e qui innalzarono altari
agli déi beati;
e Antiao denominarono Zeus,
ed Eolia te, la déa gloriosa
genitrice di tutto; e questo terzo
denominarono Kemelios,
Dionisio crudivoro. Con animo benigno, suvvia, il nostro voto
Ascoltate: da questi affanni
Liberateci e dall'esilio penoso:
Il lio di Irra sia perseguitato
Vivo una vita da contadino -infelice!-
E ho nostalgia di ascoltare
L'assemblea convocata, o Agesilaida,
dalle Erinni di quelli; chè una volta giurammo,
dopo il sacrificio, di non tradire mai nessuno degli amici:
o morti, rivestiti di terra,
giacere per mano di quelli che allora comandavano,
o dopo averli uccisi noi,
liberare dalle pene il popolo.
Fra tutti, il pancione non parlò
Con il cuore; ma calpestò facilmente
i giuramenti, e adesso divora
la nostra città
e il consiglio: questi erano i beni
che aveva mio padre e il padre del padre,
sino a che furono vecchi
presso i miei cittadini
che si rodono l'uno con l'altro.
Ma io ne sonop stato privato
e sono in esilio in questi estremi
confini e come Onomacle
dimoro qui solo, tra macchioni di rovo
abitati dai lupi,
(fuggendo) la guerra .
e nel recinto degli déi beati .
sopra la terra bruna .
ho posto il piede al di fuori del male,
qui dove le ragazze di Lesbo
gareggiano per la bellezza
e volteggiano nei loro pepli sinuosi,
e attorno freme il sacro
grido delle donne
durante la festa annuale.
Questo è uno scritto che esalta e descrive in termini scelti e cromatici, come nella tradizione Omerica, una vasta collezione d'armi. Cantata da chi ha davvero un amore per questi strumenti bellici, l'azione potrebbe svilupparsi nella sala dove il cantore stà esponendo i suoi versi mentre le armi splendenti stanno appese ai muri in attesa di essere imbracciate da lì a poco; secondo altre fonti invece, si tratterebbe di armi già sorpassate per l'epoca, quindi l'ode sarebbe piuttosto un elenco di pezzi d'antiquariato espresso in metri lirici.
Nella grande sala barbagli di bronzo,
Ares adorna tutta la casa.
Elmi lucenti, donde pendono
Cimieri di bianco crine, ornamento per teste virili.
Chiodi di bronzo, celati sotto numerose gambiere.
Contro colpi di lancia un riparo:
corazze di lino appena intrecciate,
curvi scudi ammassati.
Spade di Calcide, tuniche,
cinturoni.
Non possono lasciarli qui,
ora che s'inizia la grande impresa.
Questo è un canto che allegoricamente descrive la situazione politica come una nave in tempesta. Questo non è il primo caso di allegoria nella letteratura Greca, prima di lui Archiloco aveva già utilizzato questa tecnica espressiva che si avvale di una doppia decodificazione, ma comunque resta estranea alla tradizione Greca. In strofe alcaiche Alceo propone una allegoria che in futuro, come nei Carmina di Orazio, riscuoterà grande successo.
Non riesco a capire la rissa dei venti.
Un'onda si gonfia di qui, l'altra di là:
nel mezzo noi siamo portati
con la nera nave
molto percossi dalla gran tempesta.
L'acqua giunge alla base dell'albero
La vela è tutta fradicia,
pende giù in grandi brandelli
gli stralli sono allentati, il timone .
restano salde le due scotte
(questo solo potrebbe salvarmi)
assicurate bene alle funi.
Tutto il carico è andato perduto
L'occasione che ci presenta Alceo in questo
frammento è il simposio invernale. La prima strofa descrive un gelido
scenario caratterizzato da pioggia, maltempo e gelo; ma la cattiva stagione
viene scacciata, abbattuta dall'atmosfera intima e raccolta del simposio, i cui
commensali si incontrano in un clima di amicizie e solidarietà
reciproca.Il motivo del bere vino accanto al fuoco appare topico già in
età arcaica; tuttavia in Alceo la situazione rappresentata è
concreta e reale, legata ad una precisa situazione simposiaca. Alceo esorta a
bere senza risparmio, senza preoccuparsi di non esagerare. Questo è
tipico dell'atmosfera simposiaca da lui vissuta, anche se essa non sarà
da tutti condivisa (un esempio è Anacreonte).Nella
letteratura greca, il tema del vino è trattato a più livelli.
Esistono comunque fondamentali punti in comune riguardo all'uso di questa
bevanda e alla sua funzione: è rimedio per gli affanni degli uomini e
per le loro angosce, grazie al sonno, conseguenza del bere, che offusca la
mente.
La bevuta si conura quindi come una liberazione per l'animo umano.
Fondamentale però, rispetto a ciò, è anche l'idea del vino
come dono di Dioniso agli uomini, tanto importante quanto il dono di Demetra
(il grano): qualcosa cioè di cui l'uomo non può assolutamente
fare a meno. Tutti, poveri e ricchi, devono poter usufruire dei suoi benefici.
Il vino inoltre rientra in una dimensione religiosa. Il senso immediato della
realtà che impronta la poesia politica di Alceo, si esprime con
altrettanta evidenza nel secondo grande settore della sua opera giunto a noi,
costituito dai carmi di carattere simposiaco. La critica moderna propende a
individuare nel simposio, momento essenziale nella vita consociata dell'eteria,
il punto di riferimento per tutta quella parte della poesia lirica che non
abbia pertinenza con il rito; ma qui intendiamo restringere tale definizione ai
carmi alcaici che si riferiscono all'evento simposiale nel concreto del suo
svolgimento, e all'atto che ne determinava la ragione formale, il bere vino
nella ristretta comunità di un gruppo di amici. In questa poesia il vino
è gioia della pura fisicità, esaltazione delle sensazioni
corporee, messe in rilievo dalla corrispondenza con il variare delle stagioni:
il profumo della primavera nascente, l'arsura dell'estate, il gelo invernale .
sono convocati a esprimere in un gioco ora di consonanza ora di contrasto il
piacere integrativo o compensativo del vino; e la nitida esattezza dei dettagli
ambientali è essa stessa una parte di questo piacere, in cui il corpo
sente la propria intima comunanza con la natura. Ma l'estasi del vino è
anche verità dei pensieri, in cui si rivela la sincerità dell'amico,
perenne dubbio dell'uomo di parte; e soprattutto esso è ristoro della
mente, che strappa dall'assillante pensiero del dolore: sia che questo si
stringa alla riflessione sull'effimera brevità del vivere, oppure nasca
dalle contrarietà che il pianto non vale a lenire. Il simposio è
lo spazio simbolico della bellezza, in cui il Greco trova risarcimento della
sofferenza: fiori e profumi ne costituiscono il segno, e il vecchio poeta
potrà blandire i tormenti che hanno piagato la sua vita.
Beviamo! Perché aspettiamo le lucerne? Un dito è questo giorno.
Prendi giù le grandi coppe variopinte, o amico.
Come oblio degli affanni, il lio di Zeus e di Semele
ha dato agli uomini il vino.Mescolane una parte a due di acqua
e versa coppe piene fino all'orlo; è una coppa scacci
l'altra .
Pioggia e tempesta dal cielo cadono
Immense; le acque dei fiumi gelano.
il freddo scaccia,la fiamma suscita,
il dolce vino con l'acqua tempera
nel cratere, senza risparmio;
morbida lana le tempie avvolga.
Inumidisci i polmoni di vino. La costellazione compie il suo giro.
La stagiione è soffocante.Tutto ha sete per la calura.
Dai rami eccheggia dolce la cicala.
Fiorisce il cardo. Ora, le donne sono più impure,
e i maschi smunti: la testa e le ginocchia
Sirio brucia .
Su questo capo che molto ha sofferto,
sul mio petto canuto,
versa, versa l'unguento .
Il tema principale di questo componimento è la violazione di Cassandra, profetessa vergine e lia di Priamo, da parte di Aiace Locrese. Racconta una situazione truce e violenza nella quale la ragazza rimane aggrappata alla statua della divinità supplice del suo aiuto.In strofe alcaiche narra un fatto che scatenerà lo sdegno della déa, alla quale gli abitanti di Locri erano costretti a are la colpa del loro antenato cedendo dieci sacerdotesse alla déa offesa: come è narrato nell'Odissea.
Vergogna per chi commette ingiustizia!
Dobbiamo stringerlo dentro la gogna
E massacrarlo a colpi di pietra.
Così era meglio che gli Achei
avessero ucciso l'uomo che offese gli déi,
chè doppiando il promontorio di Aigai
avrebbero incontrato un mare più sereno.
La lia di Priamo nel tempio
Abbracciava la statua di Atena razziatrice
la stringeva accanto alla guancia
mentre i nemici entravano nella città
e uccisero (Priamo) e anche Deifobo.
Un urlo salì dalle mura,
il grido dei fanciulli invase
la pianura Dardania:
Aiace avendo negli occhi la furia omicida
Entrò nel tempio della vergine Pallade,
che fra tutti gli déi è la più terribbile
contro i sacrilegi
con le mani strappo via la fanciulla
stretta alla statua venerabile, le fece violenza,
Aiace Locrese, e non ebbe timore
Della lia di Zeus signora delle battaglie,
Occhi aggiaccianti, che lo guardava
Terribbilmente da sotto le ciglia.
Così lo fece precipitare
Nel mare colore del vino
Sconvolgendo con un'improvvisa tempesta.
Secondo quanto riportano antiche voci, Alceo avrebbe corteggiato a lungo la poetessa conterranea Saffo, ma questa l'avrebbe sempre rifiutato. Ciò sarebbe emerso dai versi, in metri lirici, del poeta Alceo che con dolci versi omaggiava la famosa poetessa di Lesbo, inoltre le due famiglie sarebbero state legate da forti vincoli di solidarietà.
O coronata di viole, divina
Dolce ridente Saffo.
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