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Concetto di totalitarismo:
Di stato 'totalitario' si cominciò a parlare in Italia verso la metà degli anni '20, per denotare le caratteristiche dello stato fascista contrapposto allo stato liberale. L'espressione è presente nella voce 'Fascismo' dell'Enciclopedia Italiana (1932), sia nella parte scritta da Giovanni Gentile, sia in quella redatta da Mussolini, dove si afferma la novità storica di un 'partito che governa totalitariamente una nazione'. Nella Germania nazista, invece, il termine ebbe scarsa fortuna e si preferì parlare di stato 'autoritario'. Intanto l'espressione cominciava ad essere usata in tutta Europa per designare tutte le dittature monopartitiche, sia quelle fasciste sia quelle comuniste e si generalizzò soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando, poi, furono formulate le teorie più compite del Totalitarismo, quella di Hannah Arendt e quella di Carl J. Friedrich e Zbigniew K. Brzezinski.
Secondo H. Arendt, il totalitarismo è una forma di dominio radicalmente nuova, perché non si limita a distruggere le capacità politiche dell'uomo, isolandolo in rapporto alla vita pubblica, come facevano le vecchie tirannie e i vecchi dispotismi; ma tende a distruggere anche i gruppi e le istituzioni che formano il tessuto delle relazioni private dell'uomo, estraniandolo così dal mondo e privandolo fin dal proprio io. In questo senso, il fine del Totalitarismo è la trasformazione della natura umana, la conversione degli uomini in 'fasci di natura intercambiabili', e tale fine è perseguito mediante una combinazione di ideologia e di terrore.
L'ideologia totalitaria pretende di spiegare con certezza assoluta e in modo totale il corso della storia; diventa perciò indipendente da ogni esperienza o accertamento dei fatti, costruendo un modello di società fittizio e ideologico. Il terrore totalitario, a sua volta, serve per tradurre in realtà il mondo fittizio dell'ideologia. Il terrore totale diventa uno strumento permanente di governo, e costituisce l'essenza stessa del totalitarismo, mentre la logica deduttiva e coercitiva dell'ideologia ne è il principio di azione, cioè il principio che lo fa muovere.
Sul piano organizzativo, l'azione dell'ideologia e del terrore si esprime nel partito unico. Il regime totalitario non ha però una struttura 'monolitica': vi è , invece, una moltiplicazione e una sovrapposizione di uffici e di competenze dell'amministrazione statale, del partito e della polizia segreta, che fanno capo alla volontà assoluta del dittatore. La volontà del capo è la legge del partito e l'intera organizzazione partitica non ha altro scopo che quello di realizzarla. Il capo è il depositario dell'ideologia: lui solo può interpretarla o corregerla.
La seconda teoria classica, quella di Friedrich e Brzezinski, definisce il totalitarismo in base all'unione dei sei caratteri seguenti:
un'ideologia ufficiale, che riguarda tutti gli aspetti dell'attività e dell'esistenza dell'uomo;
un partito unico di massa guidato tipicamente da un dittatore;
un sistema di terrorismo poliziesco, che appoggia e nello stesso tempo controlla il partito;
un monopolio assoluto dei mezzi di comunicazione di massa, come la stampa, la radio e il cinema, e di tutti gli strumenti della lotta armata;
un controllo e una direzione centrale di tutta l'economia.
Fatta tale premessa, procederò ora ad analizzare le ure dei tre massimi dittatori del '900, Mussolini, Hitler e Stalin, i quali attuarono pienamente l'azione del terrore totalitario, soprattutto nel caso della Germania Hitleriana e della Russia comunista. Qui, infatti, a partire dal 1937-38, si riscontrano tutti i caratteri dello stato totalitario: con il pieno predominio delle SS sulle altre organizzazioni poliziesche e sul Ministero dell'Interno, si attuarono i 'pogrom' contro gli ebrei, la loro deportazione in campi di concentramento e di sterminio, fino alla 'soluzione finale', perché ritenuti 'oziosi', 'asociali', 'malati di mente', ecc . Nella Russia degli anni '30, specialmente dal 1934, e poi ancora nel periodo postbellico, invece, l'azione del terrore totalitario si attuò con le 'grandi purghe', con la liquidazione di interi gruppi sociali e dei quadri dirigenti del partito, le deportazioni in massa nei campi di concentramento e di lavoro in Siberia.
L'esperienza dell'Italia fascista fu, invece, considerata 'imperfetta': relazionata alle altre dittature, infatti, essa appariva diversa e meno totalitaria, perché nel nostro paese il Partito Nazionale Fascista al potere fu limitato da due caratteri fondamentali: innanzitutto, non giunse mai ad identificarsi pienamente con lo Stato, anche se ne modificò alcune componenti, e, inoltre, incontrò dei veri e propri limiti nella Monarchia e nella Chiesa, le quali volevano rispettivamente mantenere intatti i loro poteri sul territorio italiano.
BENITO MUSSOLINI E L'AVVENTO DEL FASCISMO
'La massa non è altro che un gregge di pecore, finchè non è organizzata. Non sono affatto contro di essa. Soltanto nego che possa governarsi da sé. Ma se la si conduce, bisogna reggerla con due redini: entusiasmo ed interesse. Chi si serve solo di uno dei due, corre pericolo. Il lato mistico e il politico si condizionano l'un l'altro'
Così scriveva Emil Ludwig nel suo 'Colloqui con Mussolini' e già da tali parole si può comprendere qual era l'opinione della massa di persone che il 'Duce' dominava e quali erano le sue intenzioni di governo. Ma già Piero Gobetti e Carlo Rosselli avevano spiegato che fa parte della psicologia degli italiani la necessità di avere una guida 'capace di risolvere i problemi che altri popoli risolvono con il metodo e con l'impegno'.
Gli oppositori del fascismo si trovarono, però, di fronte ad un nemico grande e pericoloso: il Duce, infatti, non era solamente un leader politico, venne persino divinizzato e idolatrato dai suoi sostenitori.
Il particolare rapporto di Mussolini con le masse fu influenzato dalla opera di Gustave Le Bon, studioso francese che, con 'La Psicologia delle folle', diede un determinante contributo per la comprensione del 'carattere' delle masse e per le strategie di persuasione per dominarle. Il Duce comprese che, nella sua epoca, le folle rappresentavano un'immensa potenza e che dovevano, come in seguito fece, essere 'utilizzate' per ottenere quel consenso che lo avrebbe sostenuto così a lungo. E Mussolini aveva innate le capacità di immedesimarsi nel suo popolo: di notevole intuito e fiuto politico, egli rappresentò 'l'uomo forte', che avrebbe potuto guidare gli Italiani verso la ripresa dopo la cosiddetta 'vittoria mutilata' del primo conflitto mondiale.
Mussolini, infatti, sembrava essere l'uomo d'azione in grado di imprimere finalmente al Paese, dopo tante incertezze, una svolta decisiva verso il benessere ed il progresso.
Come sosteneva Le Bon, egli sarebbe stato in grado di dare al popolo quelle risposte che si aspettava, in quanto 'vinto da un desiderio inconscio di sottomissione ad un capo. La folla, infatti, non possiede idee proprie, in quanto gli uomini riuniti in essa perdono la loro individualità e la loro personalità cosciente: ciò determina un affievolimento delle capacità critiche, mentre si sviluppa un forte senso di appartenenza ad un'identità collettiva. Di conseguenza, la massa tende ad assimilare idee già fatte, specie se esse hanno una forte componente ideale e una carica di profonda suggestione: la massa è, per sua natura, dominata dall'inconscio e dall'impulsività.'
Le Bon delinea anche le caratteristiche del capo: egli deve essere, innanzitutto, un uomo di azione e non di pensiero, perché 'la riflessione tende al dubbio e quindi all'inazione'. Deve essere dotato di grande volontà e sorretto da un ideale e da una fede incrollabile, poiché ciò esercita sulle masse una grande forza di attrazione e di coinvolgimento: idee semplici, affermazioni concise, proclamate ripetutamente, sono i principali strumenti di persuasione che si basano sulla facilità di apprendimento.
E Mussolini era un grande oratore. La sua forza comunicativa si basava su frasi brevi, pronunciate con tono oracolare e trionfalistico: faceva un grande uso di metafore, di terminologia militare e spiritualistica. Proclamava i suoi discorsi con brevi periodi, con incalzante ritmo delle parole e con un continuo ricorso all'antitesi. Il suo lessico era povero, e tuttavia ricco di enfasi, di pause sapienti, di richiami eroici e patriottici, che avevano l'unico scopo di esaltare la folla.
Ma la sua capacità politica aveva ben più profonde radici.
Nato a Predappio, in provincia di Forlì, il 29 luglio 1883, aveva militato nel Partito Socialista mostrando una chiara inclinazione verso il sindacalismo rivoluzionario, tanto che, nel 1912, divenne direttore de 'L'Avanti'; ma un suo editoriale in favore dell'intervento in guerra a fianco della Francia scatenò la polemica nel partito, tradizionalmente antibellico. Fu, allora, costretto alle dimissioni dal giornale e, quindi, espulso dal partito.
Una volta fondati i 'Fasci d'Azione Interventista' nel 1919, si diede alla preparazione del programma del nuovo movimento, con richieste di forte contenuto demagogico. Tra di esse:
politica estera orientata in senso imperialistico e difensivo;
la diminuzione dell'orario di lavoro a otto ore effettive;
i minimi di a;
obbligo ai proprietari di coltivare la terra, con la sanzione che le terre non coltivate fossero date a cooperative di contadini, soprattutto reduci dalla guerra;
una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo;
il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense vescovili;
la revisione di tutti i contratti di forniture di guerra e il sequestro dell'85% dei profitti di guerra.
Il fascismo in Italia raccolse forze sociali disparate, di provenienza politica assai diversa (socialisti, anarchici, sindacalisti rivoluzionari, cattolici clericali, nazionalisti, repubblicani atei, ex ufficiali monarchici), unificate dal malcontento nei confronti delle agitazioni operaie e contadine e del trattato di pace. Il 28 ottobre 1922, le squadre fasciste, dopo aver assaltato un grande numero di Camere del Lavoro, marciarono su Roma, affermando di voler governare il Paese.
Il primo governo Mussolini ottenne la fiducia e i pieni poteri con una maggioranza schiacciante: 429 voti contro 116 e 7 astenuti alla Camera, e 196 voti contro 19 al Senato. All'opposizione restarono soltanto comunisti, socialisti e repubblicani. Un passo decisivo fu fatto con l'approvazione di una legge elettorale maggioritaria che consentì a Mussolini di presentare nel 1924 il cosiddetto 'listone' con la copertura di 150 candidati liberali. Il presentatore della nuova legge elettorale, Giacomo Acerbo, avrebbe poi pubblicato i 'Fondamenti della dottrina fascista della razza' (Roma 1940).
Mussolini creò, intanto, il Gran Consiglio del Fascismo, che avrebbe progressivamente esautorato il Parlamento, e legalizzò le squadre armate, trasformandole in milizia personale. Per conciliarsi e garantirsi l'appoggio del Vaticano e del clero cattolico firmò i Patti Lateranensi con la Santa Sede; mentre il 3 gennaio 1925 promulgò le cosiddette 'leggi fascistissime'.
Fu, così, soffocata la libertà di stampa; furono abolite le libertà politiche e sindacali; gli antifascisti furono epurati nell'amministrazione pubblica; tutti i poteri di governo furono trasferiti al Duce; vennero istituiti il confino di polizia, la pena di morte, il tribunale speciale e la polizia segreta. Per irrobustire l'orgoglio nazionale, Mussolini creò un vero e proprio impero coloniale: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea e Albania, dovevano mettere l'Italia sullo stesso livello delle altre potenze e fare di essa la nazione guida dell'Europa e il faro della civiltà nel mondo.
Anche nel campo culturale, Mussolini si fece promotore di molte iniziative: al filosofo Giovanni Gentile affidò la monumentale 'Enciclopedia Italiana'; mentre nel 1926 creò l'Accademia d'Italia, che assorbì l'antica e prestigiosa Accademia dei Lincei.
Questo gli consentì di asservire tanti intellettuali, attirati dai privilegi che la nomina di accademico conferiva loro, e di dare lustro e prestigio al regime. Incentivò il cinema, il teatro, l'arte, l'architettura, che si dimostrò essere gigantesca e magniloquente, come simbolo del potere e della grandezza dell'ideologia fascista.
Certo è che, per un ventennio, l'Italia, sotto il fascismo, rimase nel complesso isolata dalle più vive correnti culturali e artistiche europee e mondiali, chiusa all'interno di una mediocrità provinciale che il regime esaltava come propria virtù. Né ciò avveniva per caso: l'abbassamento del livello culturale faceva parte della strategia politica di un regime che aveva sospinto la popolazione a credere nei miti piuttosto che a ragionare, a scambiare la retorica con la realtà, a delegare ogni decisione al Duce, dal momento che egli 'aveva sempre ragione'.
Nel campo del lavoro, dell'industria e dell'agricoltura, Mussolini avviò importanti riforme economiche e diede inizio ad importanti opere pubbliche: soprattutto le bonifiche dei terreni paludosi dell'Agro Pontino e la famosa 'battaglia del grano', con la quale perseguì l'intento di aumentare la produzione di cereali, nel quadro del programma di 'autarchia' che, in caso di guerra, avrebbe reso l'Italia autosufficiente.
Con la 'Carta del Lavoro' (aprile 1927), che i proandisti salutarono come la 'Magna Charta' della rivoluzione fascista, il regime, inoltre, stabilì alcuni diritti-doveri del lavoratore: la giornata lavorativa di otto ore, la cassa malattie, le pensioni di vecchiaia, l'assistenza alla maternità, le vacanze organizzate dal Dopolavoro.
Neppure la gioventù fu risparmiata dall'indottrinamento; anzi, il regime considerava fondamentale 'addestrare' gli italiani al regime fascista, fin dalla nascita: la 'Gioventù Italiana del Littorio aveva il compito di creare un uomo che fosse 'naturalmente' fascista, che vivesse e pensasse 'spontaneamente' da fascista.
Parallelamente a questo condizionamento capillare, ogni opposizione era messa a tacere. Partiti e sindacati furono dichiarati illegali e furono soppressi, mentre i giornali che non si adeguavano al regime chiusi d'imperio. Gli oppositori politici furono bastonati, messi in galera o mandati al confino, a volte assassinati.
Si instaurò, così, un autentico clima di terrore.
Nel giro di un decennio dalla presa del potere, la ferrea dittatura fascista era compiuta.
ADOLF HITLER E LA DITTATURA NAZISTA
In Germania la guerra non finì il giorno in cui ai soldati venne impartito il 'cessate il fuoco'. E non finì neppure quando venne firmato il Trattato di Versailles, che regolava la pace tra l'ex Reich e gli Stati vincitori nel primo conflitto mondiale.
C'era, infatti, il desiderio di una 'rivincita' contro coloro che avevano umiliato la Germania. C'era il timore per il 'pericolo rosso'. C'era il bisogno di un governo forte per rimettere ordine in Germania.
Inoltre, la crisi economica del dopoguerra, l'inflazione che faceva lievitare i prezzi e diminuire il potere d'acquisto dei salari, la diffusa disoccupazione alimentavano i desideri di qualche 'brusca novità' che rianimasse lo stanco spirito tedesco.
Fu in questo quadro che il Nazismo riuscì ad affermarsi e che l'ex caporale Adolf Hitler riuscì a prendere il potere e a diventare il 'Fuhrer', il Duce o la Guida Unica della Germania.
Hitler aveva militato inizialmente nel partito operaio tedesco, di ispirazione socialista. Quando ne ebbe in pugno le leve lo trasformò in partito nazionalsocialista degli operai tedeschi, comunemente detto NAZISMO.
Egli aveva già al suo servizio, prima di prendere il potere, un vero esercito irregolare. Erano le 'squadre' denominate SA (Sturm Abteilungen, ovvero reparti d'assalto, al servizio del partito) comandate dal capitano dell'esercito Ernst Rohm, che in seguito furono sostituite dalle famigerate SS (Schutz Staffeln, ovvero squadre di protezione). La cieca fedeltà agli ordini del Fuhrer e dei capi nazisti rese possibile, ad Hitler, l'attuazione del proprio programma.
Quando finì in prigione a Monaco nel '23, Hitler scrisse un libro 'Mein Kampf', (La mia battaglia), che, pubblicato nel '25, era destinato a divenire il testo sacro del nazismo. Il suo era un programma 'contro': contro i governanti di Weimar, accusati di eccessiva debolezza; contro la democrazia ed il sentimento pacifista, che giudicava causa dell'umiliazione di Versailles; contro i comunisti, che giudicava pericolosissimi; contro negri, slavi, zingari e soprattutto ebrei, considerati 'inferiori'.
Al centro della concezione hitleriana c'era un'utopia nazionalista e razzista. Fervente antisemita sin dalla giovinezza, sostenitore di una concezione 'darwiniana' della vita, intesa come lotta perenne in cui i più forti sono destinati a vincere, Hitler credeva in una razza conquistatrice e superiore, quella ariana, progressivamente inquinatasi per la commistione con le razze 'inferiori'. Il popolo in cui l'arianesimo si era conservato era quello tedesco, che aveva il compito di governare sul mondo. A tale scopo fu approntata una vera e propria ideologia dello sterminio di massa e del genocidio dei 'nemici interni': i lager e le camere a gas sarebbero arrivati di lì a poco tempo.
All'inizio il partito di Hitler non ebbe molto seguito; ma il suo potere crebbe con l'aumentare del disagio della popolazione, dovuto soprattutto ai drammatici effetti della Crisi del '29.
Quel che non fece la proanda nazista, riuscirono a farlo i metodi delle SA militarizzate dal partito: aggressioni, intimidazioni, uccisioni,ecc .
Così, alle elezioni del 1930 Hitler riuscì ad infilare nel 'Reichstag', o Parlamento, ben 107 deputati contro i 12 che erano stati eletti in precedenza. Nel 1932 nuove elezioni assegnarono ai nazisti 230 seggi. Hitler ricevette 13 milioni di voti: lo battè solo il presidente della repubblica in carica, il generale Hindenburg, che conservò la carica di presidente, ma dovette nominare Hitler 'cancelliere', ossia capo del governo. Liberali e conservatori credettero anche loro, come in Italia, di aver ingabbiato Hitler e di poterlo utilizzare come una manovra di puro stampo reazionario. Sbagliarono i loro calcoli: in luglio l'unico partito legalmente esistente in Germania era quello nazista.
Nell'imminenza delle nuove elezioni venne incendiato, nella notte del 27 febbraio 1933, il Reichstag: la colpa fu attribuita ai comunisti. Molti di essi vennero arrestati insieme ad altri oppositori, specialmente cattolici e socialisti. Venne anche soppressa la libertà di stampa e le SA e le SS si abbandonarono a vere e proprie 'spedizioni punitive'. Da questo momento la 'liquidazione' degli avversari procedette più spedita. Gli ebrei furono cacciati da ogni ufficio pubblico; i funzionari più importanti furono nominati direttamente dai nazisti; i più irriducibili nemici del regime furono assassinati: più di 300 eminenti personalità tedesche antinaziste furono trucidate nella sola giornata del 30 giugno 1934.
L'anziano presidente della repubblica Hindenburg morì un mese più tardi. Pur conservando la carica di cancelliere, Hitler divenne anche presidente.
Un plebiscito sanzionò la nuova situazione. Hitler era diventato l'autentico, assoluto, onnipotente padrone del Terzo Reich, ossia del terzo impero tedesco, dopo quello Sacro romano medioevale e quello prussiano.
L'indubbia capacità di controllare i fattori emozionali e irrazionali delle masse e della politica, alternando follia razzista e promesse di prosperità e di prestigio nazionale, affermò Hitler come un capo carismatico appoggiato da un larghissimo consenso. Egli fece del nazismo un'efficientissima macchina burocratica e militare, in grado di utilizzare tutte le risorse della moderna società industriale e tecnologica per assicurare all'Herrenvolk (il popolo dominatore) la supremazia sul resto del mondo e garantirne la purezza etnica.
Una volta salito al potere, attuò una serie di riforme, volte a reprimere lo stato liberale: si fece conferire i pieni poteri per quattro anni, sciolse il partito comunista e i sindacati e cominciò ad epurare l'amministrazione dello Stato. La costituzione di una nuova polizia politica, la Gestapo, gli dette lo strumento per controllare rigidamente tutto il Paese.
Il punto cardine era il 'Fuhrerprinzip' (principio del capo); il Fuhrer era nello stesso tempo il capo supremo, la guida del popolo ed espressione delle aspirazioni di tutti, punto di riferimento per tutti. Dal popolo erano esclusi gli elementi 'anti-nazionali', i cittadini non ariani e gli ebrei, obiettivo del programma antisemita attuato da Hitler e dai suoi generali, che doveva portare allo sterminio completo di tutti gli ebrei.
Leggi razziali vennero promulgate all'indomani della presa del potere: Hitler, infatti, emanò la legge per la 'difesa dei cittadini del Reich' e del sangue, che di fatto degradava gli ebrei a esseri umani di seconda classe, con diritti inferiori e senza cittadinanza. Era il 15 settembre 1935. Fra l'altro, vennero anche proibiti i matrimoni tra ebrei e ariani; e, proprio da quel momento, le 'leggi di Norimberga' diventarono la base giuridica della persecuzione degli ebrei, oggetto fino ad allora di sistematiche camne di boicottaggio.
Gli ebrei erano allora in Germania una ristretta minoranza: circa 500.000 su una popolazione di 60 milioni di abitanti. Ma diversamente da quanto accadeva nei paesi dell'Europa orientale, erano in prevalenza concentrati nelle grandi città e occupavano le zone medio-alte della scala sociale: erano, per lo più, commercianti, liberi professionisti, intellettuali ed artisti, industriali e finanzieri. Nei loro confronti, la proanda nazista riuscì a risvegliare quei sentimenti di ostilità che erano largamente diffusi nell'Europa centro-orientale.
Dopo le leggi razziali di Norimberga, la persecuzione antisemita incalzò dal 1938 quando, traendo pretesto dall'uccisione a Parigi di un diplomatico tedesco per mano di un ebreo, i nazisti organizzarono un violento 'pogrom' in tutta la Germania. La notte del 9 novembre 1938 nei quartieri ebraici furono commesse violenze contro negozi, abitazioni e sinagoghe, mentre molti ebrei vennero picchiati o uccisi. Questa passò alla storia come la 'notte dei cristalli', per via delle molte vetrine dei negozi frantumate.
Da quel momento, la vita degli ebrei divenne sempre più difficile: negati di qualsiasi diritto, taglieggiati dei loro beni, oggetto di violenza e di nuove misure repressive, fu imposto loro anche il divieto di emigrazione. Fino a quando, nella sede dell'Interpol di Berlino, venne elaborata 'una soluzione finale della questione ebraica': era dato per scontato che gli ebrei fossero eliminati fisicamente; si trattava solo di adottare le modalità per procedere allo stermino totale e realizzare l'obiettivo esposto da Hitler il 30 gennaio 1939: nessun insediamento fuori d'Europa, nessun ghetto in Europa.
Quello che accadde successivamente è assai noto e non mi dilungherò più a lungo: poiché le fucilazioni di massa erano difficili da mantenere segrete, il sistema scelto per lo sterminio fu il gas tossico (il famigerato Zyclon B). Nel gennaio 1942 treni carichi di ebrei partirono dai paesi occupati dai nazisti verso campi di sterminio costruiti appositamente. Nei lager i nuovi arrivati vennero divisi in prigionieri abili ed inabili al lavoro. Per questi ultimi c'era la morte immediata; per i primi un calvario di stenti inauditi prima dell'eliminazione. Per tutti, dopo la morte, il forno crematorio.
Il numero totale delle vittime dell'OLOCAUSTO fu stimato, dopo la guerra, in poco meno di 6 milioni!
Con la ragione del più forte e imponendo al popolo un duro, pesante sforzo, Hitler riuscì a trasformare la Germania. La 'Wehrmacht', o esercito, venne ricostituita, riarmata e magnificamente addestrata. La 'Luftwaffe', o aviazione, divenne insieme alle divisioni di 'Panzer', carri armati, e all'artiglieria l'arma più potente non solo dell'armata tedesca, ma del mondo intero.
Ugualmente, risorse l'economia tedesca: industria, agricoltura e commercio furono potenziati. Nel 1939 il Reich produceva da solo l'11% dei prodotti industriali del mondo.
Fu, appunto, in quell'anno 1939 che Adolf Hitler lanciò la sfida al mondo e alla civiltà incitando così i suoi fedelissimi:
'CHIUDETE I VOSTRI CUORI ALLA PIETA'! AGITE CON BRUTALITA'!
. LA RAGIONE E' DEL PIU' FORTE . !'
Il mondo intero andava incontro ad una nuova spaventosa tragedia!
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