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Mario Sironi
Nasce a Sassari, secondo di sei li, il 12 maggio del 1885. Il padre Enrico lavora, in quel periodo, per il Genio Civile come ingegnere. La madre Giulia Villa è la lia di un curioso personaggio fiorentino, il Prof. Ignazio, noto per i suoi molteplici interessi che spaziano dall'astronomia, all'architettura, alla scultura. Un anno dopo la nascita di Mario, la famiglia Sironi si trasferisce a Roma dove il padre Enrico viene trasferito e qui Mario compie gli studi elementari, medi e superiori, appalesando una forte inclinazione per il disegno. I1 1898 è l'anno del primo grande dolore di Mario, infatti, a causa di una malattia polmonare, muore il padre Enrico, proprio quando la moglie Giulia è in attesa del sesto lio. È un brutto momento che Giulia riesce a superare anche grazie al sostegno economico del suo fratellastro Libero. Intanto Mario frequenta l'Istituto tecnico di San Pietro in Vincoli, uscendone diplomato nel 1902. Nello stesso anno si iscrive alla facoltà di Ingegneria di Roma dove inizia a frequentare i corsi. L'anno seguente, però, si ammala di nervi (psiconevrosi) ed è costretto ad un lungo periodo d'inattività dal quale il giovane esce con la ferma determinazione di dedicare tutte le sue energie alla pittura. Abbandona quindi l'Università ed inizia a seguire i corsi della Scuola Libera del Nudo presso l'Accademia di Via Ripetta. Lì ha modo di conoscere sia Melli che Balla e quest'ultimo lo introduce presso i suoi amici Severini e Boccioni. Sironi diviene in breve molto amico di questi pittori che lo incitano e lo convincono ad aprire un suo studio nel centro di Roma. Intanto altri amici e parenti lo aiutano a sbarcare il lunario procurandogli piccole commesse come quella d'illustratore presso 'La lettura', che Sironi, come egli stesso testimonia in una lettera, non ama particolarmente, anche se deve fare di necessità verità. In questo primo periodo produttivo, Sironi si dedica allo studio del divisionismo forse influenzato da Balla e Boccini; tuttavia mantiene solidi legami con altra pittura più squisitamente realista.
Del 1905 è il ritratto di 'La madre che cuce', dove è evidente la commistione di queste tendenze pittoriche. Ed è proprio in casa della madre che Siconi ha modo di radunare, grazie anche alle doti pianistiche di sua sorella Cristina, molti degli artisti ed intellettuali conosciuti fra l'Accademia e la 'terza saletta' del Caffè Argano. A cavallo fra il 1905 ed il 1906 è da datarsi il primo soggiorno di Sironi a Milano, presumibilmente ospite del cugino Torquato che l'aiuta anche in solido passandogli una specie di borsa di studio. Sironi, però, continua a non stare bene e ciò è testimoniato da un appunto di Boccioni. Con questi Sironi vive un rapporto conflittuale, senz'altro dovuto alle forti personalità di entrambi. Sembra comunque che Sironi abbia raggiunto l'amico a Venezia in un soggiorno del 1907. Nel 1908 Sironi è a Parigi (anche qui dubbia la presenza di Boccioni) e in Germania, precisamente a Erfurt, ospite dello scultore Tannenbaum che aveva precedentemente conosciuto al Caffè Aragno di Roma. Un secondo soggiorno a Erfurt è ancora del 1908 e Sironi invia sue notizie alla madre rassicurandola circa il suo stato di salute. Un terzo ed ultimo viaggio in Germania nel 1911, sembra più una fuga da chi, compresa la madre, lo ritiene maturo per il sanatorio. La ricerca pittorica di Sironi in questi anni si accosta sempre a quella di Balla e Boccioni, al loro divisionismo. Benché egli tenda ad accentuare una visione, rispetto a loro, maggiormente legata ai volumi piuttosto che a geometrie piane. Dal 1912 cominciano le tematiche futuriste. Il 1914 è l'anno dell''interventismo', ma anche l'anno in cui, nella Galleria 'Permanente Futurista' di Sprovieri, a Roma, si tengono le prime mostre di questo movimento. Sironi è presente a quella denominata 'Esposizione libera futurista' (aprile- maggio), comprendente anche pittori non direttamente coinvolti, con una serie di sedici dipinti. Conosce, sempre nel '14, la sua futura moglie, Matilde Fabbrini. La fine del '14 e l'inizio del '15 segnano un importante cambiamento nella vita di Sironi, giacché inizia a prestare la sua collaborazione ai due periodici di 'La Tribuna': 'Noi e il mondo' e 'La Tribuna illustrata'. Contemporaneamente si trasferisce a Milano all'inizio dell'anno e prende a collaborare anche con la rivista 'Gli Avvenimenti'. Il fidanzamento con la Fabbrini è ormai ufficiale. Alla fine di marzo Marinetti lo inserisce fra i dirigenti del Futurismo, felice di aver potuto rimpiazzare l'uscita di Soffici con 'un ingegno almeno cento volte superiore'. Tutti i futuristi fanno domanda di arruolamento nel Battaglione lombardo come volontari ciclisti e automobilisti. Ai primi di giugno partono per Gallarate e poi per Peschiera. Esistono varie testimonianze scritte dei loro spostamenti fino a Malcesine: ma alla fine dell'anno, dopo una vittoriosa operazione militare, il Battaglione viene smobilitato e Sironi, che ne aveva fatto domanda, parte per il Corso Allievi Ufficiali del Genio che si tiene a Torino; ne uscirà sottotenente a metà del '17. Viene destinato a Pieve di Cadore. In questa zona Sironi rimane dislocato con l'8° Corpo d'Armata, sino alla fine della guerra ed il 1° gennaio del 1919 egli risulta essere a Vittorio Veneto.
Nel 1919 Sironi converge silenziosamente verso temi metafisici, trattati, tuttavia, nella solita personalissima maniera, con le ure più che mai scandite nei vigorosi chiaroscuri. Tanto da accostarlo più che ad un De Chirico, con la sua pittura nitida, pulita, a certa pittura nordica, tedesca, vicino a Grotz o Permeke. Anche i 'paesaggi urbani' restano temi di impostazione metafisica da un lato, e assolutamente brutali, nell'angoscioso realismo, dall'altro. In essi tutto è chiaro, poiché nessun elemento è casuale e nella presa dell'immagine è individuabile anche l'ora: l'alba d'inverno. Ancora nel luglio del 1919 sposa a Roma Matilde Fabbrini, da cui avrà due lie, Aglae e Rossana. Nell'ottobre espone alla 'Casa d'Arte Bragaglia' in Via Condotti, la sua prima mostra personale, recensita, non senza polemiche, da Mario Broglio su 'Valori Plastici'. Riparte quindi per Milano dove lo attendono altri due impegni: il primo è la partecipazione alla 'Grande mostra futurista' a Palazzo Cova, il secondo la collaborazione al mensile del 'Popolo d'Italia', 'Ardita'. Continua, inoltre, le collaborazioni come illustratore con le altre testate già citate. Nel '20 Sironi è un affezionato frequentatore dei 'mercoledì' culturali in casa di Margherita Sarfatti a Milano, critico d'arte e mecenate degli artisti milanesi. Alla fine dell'anno partecipa, in veste futurista, alla Mostra italiana dell'Esposizione d'Arte Moderna di Ginevra, venendo notato come una delle ure italiane più significative dell'intera rassegna. Frattanto le convinzioni politiche di Sironi, lo spingono verso Mussolini e i suoi. Quando nel '22 Mussolini sale al potere, Sironi diviene illustratore e grafico del quotidiano organo del Partito Fascista: 'Il Popolo d'Italia'. Ancora nel 1922 una svolta: Sironi, assieme ad altri sei pittori (Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi) e sotto gli auspici della Sarfatti, fonda, nella 'Galleria Pesaro' di Milano, il movimento 'Novecento', o più propriamente, 'Sette pittori del Novecento'. La Sarfatti, ideologa, programmatrice e, soprattutto, portatrice della spinta politica proveniente direttamente da Mussolini, pone subito il gruppo in antagonismo con 'Valori Plastici', ideato e promosso nel '18, unitamente all'omonima rivista, da Mario Broglio a Roma. Dunque un'ennesima opposizione Milano - Roma in campo artistico? Parrebbe di si. C'è tuttavia da dire, come scrive Fabio Benzi, che 'il movimento milanese - almeno agli esordi - si pone in stretta dipendenza - sia pure in negativo per quanto riguarda le 'scelte' - dalle ideologie di Valori Plastici, () in un rapporto oppositivo ed antagonistico che, nella polemica reazione alle ideologie romane, mostra un debito significativo'. Sironi aderisce a 'Novecento' portandovi tutto il peso della sua personalità artistica, quindi in modo non gregaristico, ma, al contrario, ponendo in campo tutte le sue idee e sperimentazioni precedenti: un protagonista, insomma. Egli si prege di orientare la sua arte verso una rivisitazione, meditata ed originale, del classicismo greco e romano, con un occhio (come nel 'La modella dello scultore', A.1922) alle ombre e ai chiaroscuri di Caravaggio.
La prima uscita del gruppo dei 'Sette pittori del Novecento' è dell'anno seguente (marzo 1923), sempre alla 'Galleria Pesaro' e con la straordinaria presenza di Benito Mussolini alla serata inaugurale. La seconda importante tappa del gruppo è l'allestimento di una mostra alla XIV Biennale di Venezia. A tale importante manifestazione il gruppo si presenta con solo sei artisti, visto che Oppi era riuscito, attraverso suoi canali,
ad ottenere una sala d'esposizione personale. Il gruppo dei 'sei' perde anche altri due aderenti, Dudreville e Malerba, in seguito anche alle numerose accuse di 'esterofilismo' e altre dure critiche apparse su vari giornali.
All'indomani della mostra, la Sarfatti giunge alla determinazione di dare al gruppo valenze e prerogative nazionali e a questo scopo decide di organizzare, per il 1926, la 1a grande mostra del 'Novecento italiano', da allestirsi a Milano. Le adesioni piovono alla Sarfatti da tutta Italia e il 14 febbraio 1926 appunto, la mostra viene inaugurata al Palazzo della Permanente di Milano, con 110 artisti rappresentati e con la 'solita' presenza di Mussolini alla vernice.
Era intanto entrato a far parte del Comitato artistico direttivo della Biennale monzese che nel '27 tiene la sua terza edizione. In quella sede espone caricature ed illustrazioni realizzate per 'Il Popolo d'Italia', incontrando grande fortuna critica. Nell'ottobre dello stesso anno partecipa ad un'altra mostra di artisti italiani (Campigli, De Chirico, Tozzi, De Pisis, ecc.) allo Stedelijk Museum di Amsterdam e alla fine dell'anno realizza il manifesto del 'Crepuscolo degli dei' di Wagner, rappresentato alla Scala di Milano. Nel 1928 partecipa con nove opere alla XVI Biennale di Venezia e ad una mostra di 'Sette pittori moderni' tenuta nelle sale della Galleria Milano. Inizia inoltre una collaborazione con l'architetto Muzio con il quale cura la sistemazione del Padiglione della Stampa italiana alla mostra 'Pressa' di Colonia e del Padiglione del 'Popolo d'Italia' alla Fiera di Milano.
Ancora firmato dai due è l'allestimento, nel maggio del '29, del Padiglione della Stampa italiana all'Esposizione internazionale di Barcellona. Fra marzo e aprile (1929) Sironi aveva intanto partecipato ad altre mostre. Innanzitutto alla rassegna di novecentisti italiani organizzata dalla Società des Beaux-Arts di Nizza (mostra ripetuta in giugno anche a Ginevra presso la Galleria Moos), poi alla mostra presso la 'Galleria Milano' (a Milano) dove esponevano gli stessi artisti dell'anno prima ed infine, alla II Mostra del Novecento italiano, sempre tenuta alla Permanente di Milano. Anche in questa seconda edizione non mancano le polemiche di artisti e critici. Il tentativo di 'aprire' ad altre tendenze artistiche, operato dalla Sarfatti, non raccoglie i frutti sperati (ad esempio il rifiuto di partecipare dei futuristi). I1 1930 si apre con la partecipazione di Sironi, sempre in ambito collettivo, alle mostre della Kunsthalle di Basilea e Berna. In questo modo la Sarfatti e il Comitato direttivo di 'Novecento', cercavano di dare respiro e legittimazione internazionale al Movimento, ma la polemica interna, come detto, non sembrava sopirsi, rinfocolata com'era soprattutto dal movimento di 'Strapaese' di Soffici e da 'Valori Plastici' di Broglio. Anche quest'anno è denso di avvenimenti, come l'inserimento di Sironi nel 'direttorio' della IV Triennale di Milano (trasferita da Monza) in cui, sempre con Muzio, realizza una mostra delle arti grafiche. Segue la sua partecipazione alla XVII Biennale di Venezia e alla Mostra del Novecento Italiano a Buenos Aires e realizza, per la prima volta, le scene teatrali per 'L'isola misteriosa' di U. Betti, messa in scena al Teatro Manzoni di Milano. Sempre nel '30 Sironi incontra Maria Alessandra (Mimì) Costa, giovanissima modella, graziosa e avvenente. È un grande amore a prima vista. L'ormai quarantacinquenne artista stava immalinconendo in una 'routine' anche burocratica, tutt'altro che esaltante. Si separa dalla Fabbrini e decide di vivere con Mimì. Quel grande amore lo scuote, lo fa ringiovanire di colpo, di nuova linfa alla sua pittura. Negli anni subito seguenti abbiamo la possibilità di assistere ad un evento magico per pochi artisti (si pensi a Picasso e Matisse): l'ingresso nell'arte della gioia di vivere. La serie di tempere e tecniche miste dipinte per integrare i progetti di interni di palazzi e motonavi presentati dall'arch. Pulitzer, ne sono una prova lampante. In esse Sironi crea, inventa, si sbizzarrisce in una cromìa quanto mai varia, chiara, allegra; in composizioni sempre nuove, libere, originali che non di rado toccano, o addirittura sconfinano, nell'informale. È questo un periodo assolutamente fecondo: sono di certo gli anni più felici della sua vita.
Dal 1932 comincia a dedicarsi al problema della pittura murale e ne scrive su 'Il Popolo d'Italia' il 10 gennaio. A marzo espone con altri ventuno artisti italiani alla 'Galleria Bernheim' di Parigi. Durante l'estate partecipa alla XVIII Biennale di Venezia. A ottobre si inaugura la Mostra della Rivoluzione Fascista (decennale) a Roma (Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale) e a Sironi è affidato l'incarico di realizzare alcune delle sale più importanti, quelle cioè della 'Marcia su Roma', il 'Salone d'onore' e la 'Galleria dei fasci', con un grande bassorilievo, 'L'Italia in marcia'. Realizza, infine, anche il manifesto della mostra. Anche negli anni che seguono l'attività di Sironi è sempre molto fitta di eventi artistici. Nel 1935 espone in Polonia, a Firenze, a Parigi (Jeu de Paume) e partecipa alla seconda edizione della Quadriennale di Roma. Sempre a Roma affresca l'Aula Magna dell'università appena costruita da M. Piacentini. Si tratta di un tema rafurante 'L'Italia fra le Arti e le Scienze', di ben 200 metri quadri, di sapore retorico, che viene poi riveduto e corretto nel dopoguerra da un altro pittore, tale C. Siviero, al fine di cancellarne le insegne fasciste.
Nel '38 o '39 progetta una 'Annunciazione' (vetrata concava policroma) per l'Ospedale Niguarda di Milano ed è presente alla Mostra del Dopolavoro presso il Circo Massimo di Roma. Nel '39 e '40 scolpisce due grandi bassorilievi per la nuova sede di 'Il Popolo d'Italia'; espone in una collettiva alla 'Galleria Barbaroux' di Milano e in una rassegna di artisti italiani nel Kunsthaus di Zurigo. Nel '41 espone a Cortina d'Ampezzo (Coll. Rimoldi), Milano ('Galleria Il Milione') e Genova (Gallerie 'Genova' e 'Rotta'). Progetta le scene per il 'Dottor Faust' di Busoni, messo in scena da Salvini all'VIII Maggio Musicale Fiorentino. Fra il '42 e il '43 partecipa ad altre esposizioni in gallerie di Milano, Venezia, Firenze e Zurigo. Collabora particolarmente con la 'Galleria del Milione' di Milano. Alla fine della guerra è costretto a sfollare per evidenti motivi politici, avendo infatti aderito, in precedenza, alla Repubblica Sociale Italiana. Ripara a Dongo e a Bellagio. Termina così la lunga parentesi che aveva visto Sironi impegnato fra arte, politica, burocrazia, architettura e illustrazione. La sua vita continua, da ora sino alla morte, nell'esclusivo impegno di artista puro, anche se, accanto alla produzione da cavalletto, non finirà mai di predicare la grande importanza della pittura murale. Nel 1952 Sironi contrae una malattia alle ossa. Per questo i suoi soggiorni a Cortina diventano sempre più frequenti. Egli, a Cortina, è ospite dell'albergatore e collezionista Mario Rimoldi; è curato all'ospedale ortopedico Rizzoli Codivilla dal suo amico primario Prof. Antonio Allaria. Lo segue e accomna ovunque il suo allievo, il pittore Italo Squitieri. Le lunghe passeggiate in montagna, le gite e le escursioni sembrano giovare alla sua salute. Difatti la malattia, in un primo momento, appare in netto regresso, con somma gioia di tutti i suoi amici. Ma, purtroppo, in seguito, i lunghi soggiorni a Milano lo ripiombano in un clima umido ed insalubre. Di qui il progressivo aggravarsi della malattia che lo condurrà alla morte. Ancora nel '52 espone alla 'Galleria del Cavallino' (Venezia) in una mostra antologica con opere dal '22 al '35. La scelta è in chiara polemica con la Biennale di Venezia dello stesso anno. Nel '53 prepara una 'personale' per la 'Galleria Per' di Oslo, e la 'Galleria del Milione' di Milano organizza una mostra di sue importanti opere, itinerante in molte città degli Stati Uniti. Nel '54 espone nell'ampia mostra antologica dedicata alle celebrazioni dei 'Trent'anni della Triennale' di Milano. L'Accademia di San Luca (Roma) gli assegna il Premio 'Luigi Einaudi' e il Ministero della Pubblica Istruzione La Medaglia d'Oro come 'Benemerito della cultura'. Nel '56 diventa membro dell'Accademia di San Luca.
Nel maggio 1960, la 'Galleria Schwarz' di Milano allestisce una importante mostra di Picasso e Sironi. L'artista snolo, infatti, aveva sempre tenuto Sironi in somma considerazione, definendolo un 'vero artista'. Ancora nel '60, nell'ambito della XXX Biennale di Venezia, vengono presentate otto opere, dal 1908 al '17, che costituiscono una selezione del periodo futurista di Sironi. La rassegna, difatti, è il primo importante tributo a questo movimento storico in Italia.
Nel maggio 1961, infine, viene attribuito a Sironi il Premio Città di Milano, che risulta essere l'ultimo omaggio al grande Artista, visto che il 13 agosto, dopo essere stato ricoverato in una clinica milanese, Sironi muore all'età di settantasei anni. Viene tumulato nel cimitero di Bergamo, vicino alla madre ed alla prediletta lia Rossana.
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