ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto varie

Ugo Foscolo

ricerca 1
ricerca 2

Ugo Foscolo nacque a Zante, una delle isole Ionie, nel 1778. L'essere nato in terra greca rivestì molta importanza per il Foscolo che si sentì profondamente legato alla civiltà classica e suo ideale erede. L'isola natia rimase sempre nella sua memoria e fu cantata più volte nella sua poesia. Alla morte del padre si trasferì a Venezia con la madre; qui conobbe un'adolescenza fatta di stenti e di miserie, ma tuttavia frequentò gli ambienti culturali e politici.

Inizia a comporre le sue prime odi, canzoni, elegie ed a diciannove anni riscuote un grosso successo con la tragedia Trieste, ispirata a sentimenti democratici e allo sdegno contro gli oppressori. Giovanissimo aveva accolto con entusiasmo le idee rivoluzionarie provenienti dalla Francia e aveva preso a sperare nell'indipendenza dell'Italia.

Nel 1797 alla discesa di Napoleone si rifugiò a Bologna dove si arruolò nell'esercito della Repubblica Cispadana. Scrive intanto l'ode A Bonaparte Liberatore, ritornando per un breve periodo a Venezia. Il trattato di Campoformio cedeva intanto Venezia all'Austria. Nel giovane Foscolo si acuiva allora quel senso accorato di malinconica tristezza, che lo aveva accomnato dalla fanciullezza. A Milano conobbe il Parini e il Monti.



Si arruolò nella guardia nazionale e nella legione Cisalpina. Si diede ad una vita avventurosa e passionale. In questo periodo comincia a scrivere Le ultime lettere di Jacopo Ortis e compone l'ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. Scrive l'ode All'amica risanata per la contessa Antonietta Fagnani Arese, di cui si era innamorato.

Intanto a Venezia il fratello Giovanni si suicidava. Il Foscolo fu profondamente addolorato per la ssa, e per lui compose il sonetto In morte del fratello Giovanni. Successivamente si dedicò alla stesura de I Sepolcri, per poi iniziare il carme Le Grazie.

Caduto Napoleone definitivamente, al ritorno degli Austriaci, il Foscolo preferì scegliere la dolorosa via dell'esilio, rifiutando di prestare giuramento di fedeltà al governo dei nuovi occupanti. Fu dapprima in Svizzera, poi si stabilì a Londra. collaborò a riviste e giornali, compose opere critiche e letterarie, insegnò italiano ricevendo notevoli guadagni.

Ma gli ultimi anni furono molto tristi, vivendo in miseria, perseguitato dai creditori e afflitto dalle malattie. Morì nel 1827.


OPERE

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis: è un romanzo epistolare; il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista scrive all'amico Lorenzo Alderani. Non è solo un'opera nichilistica (nichilismo = negazione della realtà); vi è una ricerca di valori positivi quali la famiglia, gli affetti, la tradizione culturale italiana, la poesia. L'opera è scritta in prosa aulica con una complessa sintassi.

Intreccio: un giovane si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro; la morte, intesa come distruzione totale e 'nulla eterno', è l'unica via che si offre per uscire da una situazione negativa.


Le Odi (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, All'amica risanata): al centro di entrambe vi è il vagheggiamento della bellezza femminile; ricorrono continui rimandi mitologici, lessico aulico e sublime. La prima ode conserva un carattere di omaggio galante alla bella donna, mentre la seconda ode vuol essere un discorso filosofico sulla bellezza ideale.


I Sonetti: sono più vicini alla materia autobiografica, caratterizzati da un forte impulso soggettivo; vi sono però fitte reminiscenze di altri poeti (Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni). I temi trattati sono l'esilio, il conflitto con il 'reo tempo', il nulla di eterno come unica alternativa, l'impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia, l'illusione della sepoltura 'lacrimata'.


Le Grazie: l'opera è articolata in 3 inni dedicati rispettivamente a Venere, dea della 'bella natura', a Vesta, 'custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili' e a Pallade, 'dea delle arti consolatrici della vita e maestra degli ingegni'. Le grazie sono dee intermedie tra il cielo e la terra, che hanno avuto il compito di suscitare negli uomini i sentimenti più puri ed elevati attraverso il senso della bellezza e portandoli alla civiltà.

Foscolo mira ad una poesia allegorica personificando in ure le idee astratte in modo che queste agiscano più facilmente sui sensi e sull'immaginazione.


I Sepolcri: poemetto di 295 endecasillabi sciolti, sottoforma di epistola poetica indirizzata all'amico Ippolito Pindemonte. L'occasione fu una discussione avvenuta con questi originata dall'editto napoleonico cui si imponevano le sepolture fuori dei confini delle città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi. 

Pindemonte, da un punto di vista cristiano, sosteneva il valore della sepoltura individuale, mentre Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva negato l'importanza delle tombe poiché la morte produce la fatale dissoluzione dell'essere.

La morte e il nulla eterno sono superati dall'Illusione di sopravvivere nell'affetto dei propri cari.

La prima parte del carme è ispirata agli affetti umani, poi la visione si allarga. Il contrasto tra realtà ed illusione, tra ragione e sentimento non è vinto completamente. 

Il poemetto si conclude con un inno alla poesia che farà vivere in eterno i sentimenti umani, tramandando ai posteri quel mondo di valori e di ideali che noi abbiamo saputo creare.



ANALISI DEL TESTO vv. 23-52 DE ' I SEPOLCRI '



       Ma perché pria del tempo a sé il mortale

     invidierà l'illusïon che spento

  25   pur lo sofferma al limitar di Dite?

     Non vive ei forse anche sotterra, quando

     gli sarà muta l'armonia del giorno,

     se può destarla con soavi cure

     nella mente de' suoi? Celeste è questa

  30   corrispondenza d'amorosi sensi,

     celeste dote è negli umani; e spesso

     per lei si vive con l'amico estinto

     e l'estinto con noi, se pia la terra

     che lo raccolse infante e lo nutriva,

 35   nel suo grembo materno ultimo asilo

     porgendo, sacre le reliquie renda

     dall'insultar de' nembi e dal profano

     piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

     e di fiori odorata arbore amica

   40  le ceneri di molli ombre consoli.

           Sol chi non lascia eredità d'affetti

     poca gioia ha dell'urna; e se pur mira

     dopo l'esequie, errar vede il suo spirto

     fra 'l compianto de' templi Acherontei,

   45  o ricovrarsi sotto le grandi ale

     del perdono d'Iddio: ma la sua polve

     lascia alle ortiche di deserta gleba

     ove né donna innamorata preghi,

     né passeggier solingo oda il sospiro

 50   che dal tumulo a noi manda Natura.

       Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

     fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti

     contende.


vv. 23-29: Qui inizia la ribellione della Speranza, dell'Illusione che l'uomo, pur sapendo con la ragione che la Tomba non serve a niente, col cuore vuole sperare di non morire del tutto, restare vivo nel ricordo, per le imprese fatte. 

"Ma perché l'uomo deve togliersi, prima del tempo, l'illusione che una volta morto, lo fa un po' fermare prima dell'Al di là? Non vive anche dopo morto, quando non vedrà la luce, se questa luce può dare a lui l'affetto degli amici e dei parenti?".


vv. 30-41: "E' Divino questo scambio di affetto fra i vivi e i morti (quindi per prima cosa i Sepolcri servono a mantenere vivo il ricordo del morto); e per questo il vivo vive col morto e il morto col vivo, se la terra che lo raccolse da bambino, lo raccoglierà anche da morto, difendendo il suo cadavere dalle tempeste e dai piedi del volgo e una pietra (lapide) conservi il suo nome e un albero (arbore) profumato gli dia ombra (al femminile, dal latino, per un senso di dolcezza)".


vv. 42-51: "Solo colui che non lascia amici ha poca gioia della tomba; e se pensa dopo il suo funerale, si vede nell'Inferno o nel Purgatorio; ma lascia la sua polvere alle erbacce, dove nessuno andrà a pregare, né un passeggero solitario vedrà il sospiro che la natura ci manda dalla tomba. Però una nuova legge (Editto di Saint Cloud, in Francia del 1804) impone di seppellire i morti in cimiteri comuni fuori delle città e sottrae ad essi la possibilità di avere una lapide col loro nome".


(Le tombe, inutili ai morti, alimentano nei vivi l'illusione della sopravvivenza di coloro che furono cari, danno l'unica forma d'immortalità che l'uomo possa attingere: l'affettuoso ricordi degli altri uomini. Si stabilisce così un ideale colloquio fra i vivi e gli estinti, illusorio, ma tuttavia espressione di quella "corrispondenza d'amorosi sensi" che è la più divina dote dell'uomo, il vincolo che tiene unita la società e il fondamento primo d'ogni civiltà).




Anche nel Leopardi hanno valore le illusioni che illuminano la vita del Foscolo: la bellezza, la gloria, la patria, la libertà, l'amore, il piacere, la poesia; ma mentre nel Foscolo esse appaiono come conquiste raggiunte per mezzo di uno slancio eroico, di accettazione e di esaltazione della condizione umana, dolorosa ma ricca di dignità e nobiltà, in Leopardi sono idee nobilissime, insite nella giovinezza dell'uomo, ma destinate a venir meno, ad essere demolite dalla ragione e soprattutto dalla vita.

Il termine adesso si lega all'idea di vago ed indefinito (L'infinito) e si conura come un tentativo di sottrarsi alle leggi materialistiche della natura.  Ma l'illusione manca di continuità e anche gli antichi non potevano a lungo nutrire la loro poesia di immaginazione (la parola e non a caso per la prima volta accanto al concetto di illusione). La legge materialistica della natura matrigna (di dolore e sofferenza per l'uomo sulla terra) e l'assenza di una fede religiosa, rendono inoperante, vuota ogni forma di illusione in Leopardi. Anche il piacere è illusione negativa, fragile, momentanea e instabile; ogni piacere consiste in un'interruzione breve del dolore. 





Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta